IL 5G NELLE MANI DELL’ATLANTISTA ADOLFO URSO

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Adolfo Urso

ALL’EX PRESIDENTE DEL COPASIR LA GESTIONE DELLA INNOMINATA TRANSIZIONE DIGITALE.

di Maurizio Martucci

Dalle consultazioni ricevuto l’incarico a meno di un mese dalle elezioni,  Giorgia Meloni  si è presentata al  Quirinale  per il giuramento al Presidente della Repubblica, prima della fiducia da prendere col voto tra  Camera dei deputati e Senato. Parte così il primo  Governo a guida femminile, dai tempi dell’ultimo Silvio Berlusconi (era il 2011) il primo Presidente del Consiglio dei Ministeri ‘eletto’, la prima donna  premier della storia della Repubblica italiana che, nella squadra dell’esecutivo, rispetto ai predecessori Conte e Draghi dalle caselle nella stanza dei bottoni ha fatto  sparire la dicitura dei ministeri della transizione digitale (Colao) ed ecologica (Cingolani), creando però il  ministero  (con portafoglio)  delle Imprese e Made In Italy (ex MISE di Giorgetti e DI Maio) affidato ad Adolfo Urso. A lui la gestione del 5G nel proseguimento dell’agenda tecnologica, in sinergia stretta con  Raffaele Fitto, ministro (senza portafoglio) degli Affari esteri, cooperazione e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cioé la cassaforte su cui convergeranno i bond da Bruxelles, compresi i 40miliardi di euro allocati da Vittorio Colao per la (innominata, di non certo defunta) transizione digitale.

Berlusconiano  Fitto, Urso è invece in quota Fratelli d’Italia, albero genealogico Alleanza Nazionale  (con parentesi nell’esperimento finiano  Futuro e Libertà), prima  Movimento Sociale Italiano  e da ragazzo  Fronte della Gioventù: atlantista di ferro, spesso in visita a Washington (negli  USA  ha svolto il ruolo di ambasciatore della  Meloni, ora nell’Aspen Institute), sociologo e giornalista, nella precedente legislatura è stato presidente del  COPASIR  (la commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti), veste con cui più volte ha puntato il dito in favore del 5G, ma di matrice occidentale: “Serve una politica industriale attiva e il 5G è un tassello indispensabile in quest’ottica, interconnesso con l’agenzia per la cybersicurezza, il cloud nazionale, la rete a banda larga e le sue interconnessioni marittime”, le parole di  Urso, in prima linea per denunciare la deriva cinese del wireless di quinta generazione, nonostante il suo partito sia risultato sovvenzionato da  Huawei, cioè proprio il  5G cinese, su cui invece il Governo Conte I con Luigi Di Maio aveva stipulato gli accordi sulla Via della Seta Digitale  capitalizzati – per gioco forza – dal Partito Comunista Cinese: “di sicuro il partito comunista cinese ha affermato il proprio impegno nello sviluppo della tecnologia 5G”,  nel 2018 scriveva Il Manifesto.

Con Tweet, dopo la sconfitta alle presidenziali di Donald Trump, urbi et orbi Urso aveva consigliato la lettura dell’articolo  Il colpo di Stato silenzioso delle piattaforme digitali  per comprendere la ‘minaccia delle democrazia”. Intervenuto lo scorso anno al  5G Italy, il più grande appuntamento italiano dell’Internet delle cose  promosso annualmente a Roma dalla  lobby  delle telecomunicazioni, nello scontro  Oriente-Occidente, USA-Cina, sul 5G come grande banca dati  Urso aveva elogiato il Governo Draghi nell’agenda Colao, ribadendo la necessità dell’applicazione del golden power per bloccare operazioni finanziarie per interessi nazionali. “No  all’introduzione di strumenti di  controllo digitale  di massa e di compressione delle libertà individuali o a meccanismi di scoring, come la ‘cittadinanza a punti’ su  modello cinese”,  si legge nel programma elettorale di  Fratelli d’Italia, tanto che solo pochi mesi fa, a Il Foglio il ministro in pectore Urso aveva detto di essere per la  “sicurezza cibernetica e sulla necessità di vigilare su  tecnologia cinese e 5G. Cina e Russia  stanno usando la rete e non solo per attuare una politica di potenza, motivo per cui abbiamo chiesto di estendere il golden power prima alle Tlc  e poi anche al settore finanziario, bancario e assicurativo“.  Da questo punto, cioè dal  5G camaleonticamente prestato in chiave di sovranità nazionale e rete unica delle telecomunicazioni di proprietà pubblica partirà di certo il nuovo Governo Meloni.