LA MAGIA DEL FIUME DI DANIELA ALIBRANDI

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IL RACCONTO HA PARTECIPATO AL CONCORSO “TRA PAROLE E IMMAGINI”.

C’era una volta un vecchio, dalle mani nodose e macchiate, lo sguardo dolce e la barba bianca. Nella vita aveva avuto tanto, ma poi aveva perso tutto. Non tutto, si diceva, mentre osservava il giaciglio dove adesso trascorreva le sue notti solitarie.
Possedeva ancora un fornello da campo dove potersi preparare un buon caffè al mattino, e degli angeli sconosciuti scendevano sulla banchina del Tevere per portargli il cibo, le sigarette e, quando faceva molto freddo, anche delle coperte. Un giovanotto, che tanto gli aveva ricordato di suo figlio, aveva piantato per lui una piccola tenda da campeggio, nel luogo più asciutto e nascosto agli occhi di chi transitava sul ponte. E poi aveva un tetto sulla testa e, anche se non era più quello della sua casa, adesso la volta era perfino più ampia e rassicurante. Insomma, non era mai solo.
Lo scorrere lento del fiume lo aiutava ad addormentarsi e cullava i suoi sogni, i ratti che squittivano attorno a lui custodivano il segreto di quelle notti e al mattino il volo dei gabbiani gli faceva immaginare delle storie leggere. Quando poi, vincendo la schiena curva, riusciva a guardare verso l’orizzonte incorniciato dall’arcata, si sentiva l’uomo più ricco del mondo. Attorno a lui c’era qualcosa che nessuno più poteva togliergli.
La storia e la fede, l’antichità e le radici del suo essere. Vedeva la cupola di San Pietro stagliarsi sui cieli tersi che solo lui, da lì, poteva osservare. Era come vivere in un sogno dal quale ormai nessuno l’avrebbe più svegliato.
Ma una mattina il vecchio non usciva dalla tenda. Se ne erano già accorti i topolini, che l’avevano udito lamentarsi nel sonno, e adesso anche i gabbiani stavano notando la sua assenza. Volavano sempre più in basso, ora che nell’aria non si spargeva il solito profumo di caffè, a cui pure loro erano affezionati. Così planarono sul terrapieno, dimenticando la consueta lotta contro gli altri animali. Fu il gabbiano più anziano ad aprire la tendina spingendo con il becco la chiusura lampo. Presto si affacciarono anche gli altri e, tra le loro zampe, fecero capolino i sorcetti. Il vecchio stava male, forse preda di una febbre alta. Si guardarono tutti sgomenti e si consultarono tra loro.
“Non possiamo lasciarlo qui!” aveva detto il principale dei ratti. “Ha ragione,” gli avevano fatto eco i giovani gabbiani, indirizzando uno sguardo severo al loro capo. Decisero che, se non erano in grado di guarirlo, almeno potevano fargli conoscere il cielo e tutto ciò che da lassù si poteva vedere.
Fu così che i gabbiani presero posto ai lati di quel corpo scarno e afferrarono, ognuno con il proprio becco, un lembo del suo logoro abito. I topolini fecero largo e il loro capo diede il Via! Tutti insieme si alzarono in volo. Iniziarono a sorvolare le infinite antichità della città, mentre il sole nascente carezzava il volto e la barba incolta del vecchio. Lui aprì gli occhi. Al di sotto scorrevano immagini di monumenti, chiese, tetti e giardini variopinti, colonne, marmi e strade grigie di sanpietrini.
Il sole gli scaldava la pelle e i suoi amici lo stavano guarendo, finalmente si sentiva meglio ed era il protagonista di una illimitata magia. Capì che può accendersi una luce immensa perfino nel buio più profondo.

Daniela Alibrandi