I bambini sono bambini

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Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Quando all’Università, dopo il biennio di base, dovevo decidere il triennio di indirizzo, in modo del tutto inconsapevole ho scelto di non frequentare il triennio di Psicologia dell’età Evolutiva perché non volevo occuparmi dei bambini. In modo del tutto inconsapevole ho scelto, quindi, l’indirizzo di Psicologia Clinica e di Comunità perché “Si occupa dell’adulto”. Questa scelta è mantenuta tutt’ora. Tutt’ora scelgo, se non in alcuni rarissimi casi, di occuparmi dei genitori piuttosto che dei loro figli. Con l’esperienza clinica ho notato che molto spesso le problematiche portate dagli adulti in psicoterapia hanno radici nella loro infanzia, in un rapporto di accudimento da parte dei loro genitori incostante oppure che non rispettava né era attento ai loro bisogni. Altre volte capita che accadano degli avvenimenti imprevisti e traumatici che cambiano completamente lo stile di vita della famiglia e quella dei figli (per esempio la morte improvvisa ed imprevista di un genitore). Negli anni ho costruito un mio pensiero: “i bambini non sono mai cattivi”. I bambini possono nascere in una famiglia i cui genitori hanno le risorse psicologiche per accudirli ed essere attenti ai suoi bisogni e desideri; oppure i bambini possono nascere in una famiglia in cui i genitori a loro volta hanno avuto un modello genitoriale poco accudente ed attento e magari troppo autoritario; di conseguenza, è molto probabile che quei figli, diventati ora neo-genitori, usino questo modello di accudimento poco “nutriente” per il figlio (a loro volta sono stati poco nutriti come figli). Anche nei casi di patologie fisiche o psicologiche del bambino, come per esempio Disturbo dell’Attenzione con Iperattività oppure l’Autismo (nei suoi vari gradi) oppure altre patologie fisiche gravi, i genitori possono imparare a rispondere ai bisogni del figlio in modo congruo con la problematica diagnosticata e costruire un rapporto genitoriale adeguato ed autorevole. Capita spesso che il figlio (10-12 anni) porti su di sé delle problematiche della famiglia e che risponda in modo comportamentale, sociale e scolastico in modo personale con gli strumenti (pochi) che lui ha. Capita, per esempio, che i genitori si rivolgano allo Psicologo per il problema del figlio ma, ad un esame che va un po’ oltre, si evidenzia che il vero problema è o nella relazione che il genitore ha con il figlio oppure in una difficoltà famigliare momentanea (per esempio perdita del lavoro di un genitore). Così viene evidenziato che il problema è nella famiglia e che il figlio ne è solo il “portatore inespresso”: in questo caso si dovrebbe lavorare con i genitori oppure con l’elemento della coppia che porta la sofferenza viva. Una giovane ragazza tempo fa mi ha raccontato che la famiglia aveva subito una grave perdita (uno zio a cui lei era molto legata): prima della morte nessuno in casa parlava della malattia e dell’aggravamento del suo stato di salute. Dopo che la persona è morta la ragazza, che al tempo frequentava le superiori, non riusciva a studiare tanto che è stata bocciata. Probabilmente in quella famiglia faceva paura parlare del dolore oppure, non parlandone, volevano proteggere i più piccoli. La morte dello zio è stata elaborata in psicoterapia. La famiglia è un organismo e i singoli elementi formano l’organismo: se sta male una parte anche le altre parti ne risentono e la sua guarigione ne ripristina un nuovo equilibrio di benessere soprattutto nei più piccoli.

Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

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