Letio magistralis sulla Shoah di Erika Silvestri alla scuola Melone

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Nelle settimane tra aprile e maggio scorso, alcune terze della “Corrado Melone” hanno partecipato ad una serie di incontri, in classe, con la scrittrice e ricercatrice Erika Silvestri, concittadina ladispolana, per affrontare il tema della Shoah. L’argomento mi sta molto a cuore, anche se non mi coinvolge in prima persona ma, secondo me, nessuno deve ignorare cosa sia accaduto.

Nel primo incontro abbiamo parlato dell’avversione nei confronti degli ebrei nel corso della storia e dei vari termini usati per indicare le varie forme di discriminazione. Siamo partiti con l’antigiudaismo, l’odio religioso nei confronti della religione ebraica. La conversione da parte degli ebrei era l’unica soluzione per evitare tale forma di odio e ogni discriminazione. Nel 1555 fu costruito il ghetto di Roma da parte di papa Paolo IV: l’ebreo non doveva vivere in mezzo agli altri.

Ghetto è una parola dalle origini incerte la più convincente delle ipotesi è che derivi dal veneziano dove geto (o getto) era il nome con il quale si indicava la fonderia dei metalli, il luogo vicino il quale a Venezia venne istituito nel 1516 il primo ghetto (o geto) della storia. Successivamente, si arrivò alla cosiddetta “emancipazione” o “rinascimento ebraico” in cui gli Ebrei conquistarono i diritti civili. Questa parentesi, per così dire felice, purtroppo fu breve e si tornò al rifiuto dell’ebreo fino poi alla II guerra mondiale, con la persecuzione e discriminazione, basate sul concetto di “razza”: nel 1935 vennero promulgate le leggi razziali in Germania e nel 1938 quell’orrore fu commesso in Italia.

La seconda lezione è stata la mia preferita e quella che mi ha incuriosito di più. Abbiamo parlato dell’Aktion T4 (AT4) o Eutanasia, ma facciamo un passo indietro. Nel 1920 un medico scrisse un libro, “Vite indegne di essere vissute”, in cui sottolineava come i malati fossero un “peso economico” nella società. L’AT4 prende spunto da questo. Si cominciò con la sterilizzazione delle coppie che avrebbero potuto far nascere figli malati, furono aperti sei centri per il “trattamento” (cioè l’uccisione sistematica dei “pazienti”) dei casi di malattie mentali, handicap o malattie gravi (il più tristemente famoso fu quello di Hadamar). Nell’ottobre del ’39 troviamo il censimento di tutti i portatori di handicap, compresi i neonati; nell’agosto del ’41 i medici di queste cliniche affermano che l’Azione era finita, ma in realtà continuò fino alla fine della guerra, nel 1945. Sono stati contati circa 70.000 morti assassinati a seguito dell’AT4, tutti di nazionalità tedesca.

L’idea della “pratica” della eliminazione delle persone (eugenetica), passò quasi inosservata, o, peggio, fu accettata dall’opinione pubblica ma la sua “applicazione” fu tenuta nascosta, ma era impossibile che non si sapesse, impossibile che coloro che erano impiegati presso le varie strutture non fossero a conoscenza e la maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione della legge, ritenuta in linea con le idee predominanti del tempo. Alcune famiglie dei “pazienti”, lì ricoverati e poi morti, tentarono di chiedere spiegazioni, ma di fatto il referto era sempre che il malato fosse “deceduto per arresto cardiaco”.

 

Come ho detto all’inizio, i ghetti esistevano dal 1555 nello Stato pontificio, ma il 1 settembre 1939 Hitler occupò la Polonia, dando il via alla II guerra mondiale e furono costruiti in Europa i “ghetti” nazisti. Il più grande era il ghetto di Varsavia, realizzato nel ’41, che ospitava più di 450.000 persone. In questo ghetto c’erano la polizia ebraica e il consiglio ebraico. Erika Silvestri ci ha mostrato un video a colori, le cui riprese furono effettuate dalla polizia tedesca, con immagini colte nel centro della città in cui si vedono bambini magrissimi e persone che patiscono la fame, riverse sulla strada. Molti non sanno che la popolazione non subì passivamente questi abusi, ad esempio ci fu una rivolta armata da parte degli ebrei polacchi e i tedeschi intervennero con le armi, il 19 aprile, durante la Pasqua ebraica, quando tutti si riunivano, distruggendo ogni cosa con i carri armati. Ci volle quasi un mese per stroncare la rivolta e fu una strage.

Dopo la chiusura nel ghetto, il passaggio successivo per gli ebrei era la deportazione nel lager. Ne troviamo sei in Polonia, tutti tristemente noti, il più famoso e più grande dei quali, Auschwitz, era di proporzioni immense, diviso in tre parti con complessi crematori, baracche e altri strumenti di sterminio. Esistono tre tipi di campi nazisti: di concentramento (gli ebrei sono concentrati insieme), di transito (gli ebrei arrivavano lì, per essere smistati e trasferiti nei campi di sterminio) e di sterminio (progettati per l’uccisione sistematica dei deportati). Anche ad Auschwitz, il 7 ottobre del ’44, si attuò, da parte del sonderkommando, una rivoluzione chiamata Krematoria IV: i membri del kommando speciale (erano prigionieri ebrei addetti ad introdurre gli ebrei nelle camere a gas e a portarli nei forni crematori, oltre ad altre tremende mansioni) fecero saltare il complesso crematorio n. 4. Inutile dire che la rivolta fu stroncata nel sangue.

Nel dopoguerra si svolsero molti processi; Erika, con noi, ne ha illustrati tre: quello di Norimberga (svoltosi nel 1945-46, davanti ad una corte militare internazionale), di Francoforte (nel 1963 in cui era una corte tedesca a processare i nazisti tedeschi) e quello ad Eichmann (nel 1961).

Con la ricercatrice abbiamo affrontato, grazie anche ad alcuni video che sono stati mostrati, come alcuni dei nazisti intervistati non abbiano mai attribuito a se stessi alcuna colpa di quanto commesso: eseguivano gli ordini del furer, ma credo che solo un modo per non riconoscere la propria responsabilità collettiva e singola.

Abbiamo anche accennato ad alcune teorie “negazioniste”, alcuni “studiosi” hanno negato l’esistenza dei campi di sterminio chiudendo gli occhi davanti all’evidenza tentando di convincere i meno istruiti.

Questo percorso con Erika mi ha fatto conoscere aspetti che non sapevo molto bene o che non conoscevo affatto del Nazismo e della Shoah. Questi approfondimenti interessanti mi hanno fornito ulteriori spunti per il mio percorso d’esame. Ho trovato molto chiaro ed efficace il linguaggio usato dalla nostra esperta.

Erika ha concluso le sue lezioni lasciandoci con un interrogativo e una riflessione: come ci saremmo comportati noi, durante il regime nazista, in una situazione simile? Il tema della Shoah, legato alla storia di un recente passato, ci obbliga a pensare che sia necessario sempre essere attenti e responsabili di ciò che si compie, a ciò che accade intorno a noi perché nessuna scelta e nessuna azione è mai completamente neutra e rimanda sempre ad una nostra responsabilità. Non si deve mai dimenticare il passato, ma imparare da ciò che è accaduto affinché non si ripeta la barbarie di uomini che stimano inferiori altri uomini.

Io non riesco ancora a comprendere quanta crudeltà e quanto odio sia stato riversato su una popolazione dichiarata assurdamente e ingiustamente“inferiore” alla cosiddetta “razza” ariana. Razza… questo termine, inapplicabile all’uomo in quanto gli scienziati hanno chiaramente dimostrato che l’uomo non può essere distinto in “razze”, mi infastidisce molto perché siamo tutti esseri umani, TUTTI!

Luca Colaboni 3M