DIDATTICA A DISTANZA: UN FALLIMENTO

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Didattica a distanza

COSA DICONO DOCENTI E STUDENTI: PIACE SOLO ALLA MINISTRA AZZOLINA.

di Barbara Pignataro

Le scuole in Italia hanno chiuso i battenti il giorno 5 marzo 2020. Quel giorno non si immaginava di certo tutto quello che poi è venuto, non era considerata una vacanza, ma nessuno, sopratutto gli studenti, immaginavano davvero di ritrovarsi rinchiusi a casa, con il divieto di andare a scuola. Divieto a tempo indeterminato.

É stato difficile per i genitori spiegare la crisi sanitaria in atto perché di difficile comprensione per tutti, una situazione inaspettata e in cerca di un perché. Difficile trovare le parole giuste per dire ai più piccoli, senza incutere terrore che siamo costretti a restare a casa. Che da un iniziale consiglio, siamo giunti ad un divieto assoluto, alla progressiva perdita della libertà. A tempo indeterminato.

La politica della Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, è stata, fin dall’inizio della crisi, quella di ripetere che “la scuola non si ferma”, che si deve andare avanti. In che modo? Con l’ausilio di strumenti tecnologici continuare con la didattica a distanza. Tra mancanza di abilità, metodi e risorse, si sta applicando la didattica a distanza, una minaccia per la salute mentale e pscologica di studenti, insegnati e famiglie e, per questo motivo, è giudicata un fallimento.

La ministra ignora questo aspetto e lo dimostra nella lettera aperta indirizzata al personale della scuola (dirigenti scolastici, direttori dei servizi generali e amministrativi, docenti, personale educativo, collaboratori scolastici, assistenti tecnici e amministrativi), agli studenti e alle loro famiglie. “Sono orgogliosa di come tutto il mondo della scuola italiana, abbia reagito ad un evento di questa portata”, si legge nel documento. Parole commoventi e niente altro. Mi spiego meglio. Giustificato l’iniziale e impattante stress innescato dall’emergenza sanitaria, con la prima emotiva comunicazione “la scuola non si ferma”, a distanza di tre settimane, solo una lettera aperta fa sorridere. In questi giorni ognuno dei coinvolti ha fatto la sua parte: tutti a casa, davanti al pc o con lo smartphone tra le mani alle prese con App sconosciute, connessioni lente, messaggistica Whatsapp e videochiamate. Dirigenti, docenti, alunni e genitori hanno lavorato sodo nonostante la confusione, l’ansia, i bollettini di morte e la mancanza di libertà. E la ministra cosa ha fatto in queste tre settimane?

Siccome sembra che Azzolina sia convinta che la didattica a distanza sia efficace e rappresenti il futuro dell’istruzione in Italia, abbiamo chiesto ai diretti interessati: insegnanti delle scuole elementari e medie del comprensorio, docenti di liceo di Ladispoli e Roma e da loro apprendiamo veramente cosa significa insegnare e apprendere al tempo del Coronavirus.

La testimonianza di una insegnante di quinta elementare di Ladispoli 1: “Stiamo facendo un super lavoro individuando qual è il metodo migliore per confrontarsi con i ragazzi e qual è lo strumento più idoneo per interagire. Nonostante ci chiedono di portare avanti il programma e di rendere conto dell’operato svolto, da loro e nostro, tentiamo di non sovraccaricarli di lavoro perché non è salutare e necessario. Ogni venerdì dobbiamo inviare tramite posta elettronica, un resoconto della settimana al dirigente scolastico, delle lezioni svolte specificando la modalità applicate. Anche i bambini inviavano i compiti svolti tramite posta o WhatsApp fino a quando hanno chiesto di non usare questi canali con le famiglie per problemi relativi alla privacy. Solo i mezzi di didattica istituzionali».

Le piattaforme Zoom e Google Classroom sono le più usate. Da subito si è attivato il registro elettronico, nel settore materiali possono entrare i genitori per prendere compiti e materiale di supporto come video e immagini.

“Dal 9 marzo è stato chiesto di applicare la didattica a distanza – prosegue l’insegnante – metodo che si scontra con le capacità del singolo docente, con i mezzi a disposizione a casa, stessa cosa per le famiglie. In molti casi è stato necessario attivare le rappresentanti di classe per raggiungere tutte le famiglie in quanto non tutti riuscivano a collegarsi o dispongono degli strumenti per farlo. Parlando di privacy, una circolare ha informato noi docenti che durante le video chiamate, non dobbiamo inquadrare nulla di personale: foto, l’interno della casa, l’ambiente deve essere il più neutro possibile. Altra cosa, non si possono registrare le video chiamate, per non diffondere dati sensibili: si entra nelle case dei ragazzi”.

Chi non ha una stanza appropriata?«Sono molti i bambini che non hanno il loro computer e devono ricorrere allo smartphone del genitore e neanche una stanza propria. É complicato e impegnativo per tutti». Ci sono varie piattaforme, chi sceglie quale usare? Noi insegnanti, per rispettare la libertà di insegnamento. Comprensibile, ma così i bambini sono più confusi, non sarebbe meglio per loro un unico “luogo” dove svolgere e interagire con tutti i docenti, come fosse un’aula? “Certamente, ma così non è, navighiamo a vista, quella che doveva essere una modalità provvisoria si sta trasformando in unica realtà senza avere le caratteristiche per poterlo essere”. Risponde l’insegnante di un noto liceo scientifico di Roma, con lei abbiamo approfondito l’aspetto umano della didattica a distanza.

Cosa succede sul campo? “Personalmente sono partita da subito, operativa dal giorno dopo perché lavoro così anche in classe, hanno trovato sullo schermo del pc la stessa lavagna che vedevano in aula. Inizialmente l’obiettivo mio era quello di portare la scuola a casa dei ragazzi per far in modo che mantenessero la stessa routine. Per me era importante che la mattina continuassero ad avere l’appuntamento con i compagni, la professoressa che fa l’appello. Sono partita con molto entusiasmo per poi capire che è una fatica immane, a livello fisico proprio. Dopo 10 giorni confrontandomi con chi lavora a casa, non in situazioni di emergenza ma di prassi, ho compreso la necessità di fare delle pause, lontano dal pc. Non si può stare davanti allo schermo con lo stesso ritmo di quando si sta in classe. Ho dovuto rimodulare la giornata, la prima settimana che mi sedevo alle 9 mi alzavo alle 14 alienata. E credo anche i ragazzi”.

“É stato bello il confronto e il supporto tra colleghi, perché dalla scuola siamo stati abbandonati, a livello di istituzione completamente lasciati soli. Attualmente, almeno nella mia scuola ci siamo aiutati tra pari. Confrontandoci tra colleghe abbiamo riscontrato che i ragazzi preferiscono un appuntamento collettivo, stare insieme e questo stiamo portando avanti. Mantenere un contatto è fondamentale è una richiesta degli studenti. Le video chiamate non sarebbero consentite, ma francamente sono il mezzo più semplice per mantenere un contatto diretto con gli alunni, uno strumento da utilizzare. L’aiuto viene dato anche singolarmente, si va oltre le regole e gli orari, è indispensabile e umano”.

“Psicologicamente siamo tutti provati e quello che devono capire è che gli alunni non possono avere le stesse prestazioni e noi le stesse pretese di prima, bisogna dare loro più tempo. Assistiamo a reazioni diverse, c’è il bambino che vuole fare tutto e subito, per sentirsi super impegnato, per non pensare, il compagno che invece devi rincorrere perchè pensa di stare in vacanza e difficilmente gestisci a distanza. Questi risvolti l’istituzione non li considera, quando sento dire che questa modalità emergenziale è una grande opportunità di crescita per il mondo scolastico ho i brividi. Insegnare è un’altra cosa, questo è sopravvivere. E rispettare le regole imposte. Superata la prima settimana di euforia i ragazzi sentono la mancanza della scuola, siamo animali sociali e abbiamo bisogno di stare insieme, ci manca lo sguardo”.

Didattica a distanza: la ministra Lucia Azzolina

Una lettera aperta indirizzata alla ministra arriva della dirigente  sindacale Unams Scuola Fgu prof.ssa Romana Campanile, qui il link per conoscere l’altra faccia della didattica a distanza, tanto glorificata dalle istituzioni, lettera alla quale ancora si attende risposta. Un breve passaggio: “La responsabilità a cui con solerzia e sollecitudine fa riferimento, è intrinsecamente connessa alla libertà e, con essa, alla capacità dell’essere umano e dunque anche di noi docenti, di autodeterminarsi: l’ uomo libero è l’ uomo che de-libera. Bene, il nostro poter de-liberare come docenti e nel campo della nostra attività  didattica,è stato inopinatamente impedito”

La didattica a distanza è un fallimento, gli studenti sono fragili e non in grado di sostenere gli esami, ma la ministra Azzolina sembra non capirlo. Altri Paesi hanno già deciso di sospendere tutti gli esami e valutare gli studenti in base al loro curriculum scolastico. Perché non fare come loro?”. Davide Gemma