Da 14 anni l’assenza di Papa Giovanni Paolo II ha fatto comprendere come soltanto lui potesse salvare la nave

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di Antonio Calicchio

Vi è una ragione emergente per cui l’uscita di scena di Giovanni Paolo II, il 2 aprile 2005, ha prodotto un pregiudizio per il mondo cattolico-cristiano: tale Papa è stato capace di fare, per le proprie convinzioni religiose, ciò che nel mondo laico a nessuno è riuscito rispetto alle proprie.Anzitutto, ha lavorato in salita, mentre il mondo laico si trova davanti una strada in discesa. Negli ultimi duecento anni, l’Occidente si è sempre più allontanato dal sacro; e coloro che contestano questa affermazione non si rendono conto di smentire uno dei tratti fondamentali della diagnosi che Giovanni Paolo II ha offerto dell’Europa e dell’Occidente. Secondo lui, il nazismo e il comunismo, figli delle “filosofie del male”, hanno lasciato in eredità, in Europa, una “devastazione”, morale e culturale, tanto grave da richiedere, da parte della Chiesa, un più intenso impegno missionario.

Ma questo Papa ha lavorato in salita in quanto l’allontanamento dell’Occidente da Dio non costituisce un mero cambiamento di costume o di gusto. Per quanto si stenti a comprenderlo, tuttavia il pensiero filosofico dell’ultimo secolo e mezzo rappresenta la punta d’acciaio che anima, dà forza e fa procedere il nostro tempo; e mostra che lo scavalcamento dei valori del passato è un processo ineluttabile. Mostra che il sacro e il divino, concepiti come dimensione eterna che domina il divenire e la storia, sono impossibili.

Certo, queste sono affermazioni che il Pontefice non avrebbe mai accettato; anzi, egli affermava il contrario: sosteneva che il male del nostro tempo scaturisce da una filosofia che non può reggere il confronto con quella della tradizione aristotelico-tomistica sulla cui base il cattolicesimo si erge. Ma affermava il contrario come uno che, in mezzo a un torrente in piena, sostenga che l’acqua va dalla valle al monte. E l’ha sostenuto in maniera vigorosa e ha agito in maniera vigorosa perché l’acqua andasse verso il monte. Donde, la sua grandezza e, insieme, il suo dramma che, peraltro, egli ha saputo imprigionare sotto la corazza della sua fede. Difficile avere più forza e coraggio nel tentare di salvare una nave che affonda.

Frattanto, nel mondo laico non vi è stato, e non vi è, niente di simile a questa forza e a questo coraggio. Nessuno è stato in grado di fare, per il tempo veniente, ciò che Papa Giovanni Paolo II ha fatto per il tempo andato. Certo, gioca il vantaggio posseduto da un Pontefice carismatico che ha saputo utilizzare, in modo efficace, i mezzi di comunicazione di massa. Ma la disparità resta. Giacché il mondo laico ha il vantaggio di procedere nella direzione del torrente: da monte a valle.

Soltanto che se n’è dimenticato.

Oramai, il mondo laico si limita a galleggiare; e non vede più la potenza che, all’inizio del nostro tempo, ha demolito la tradizione. La potenza del pendio. E’ divenuto, a sua volta, una fede che si contrappone a quella religiosa; un dogma in cui si ripete che Dio è morto o si esibisce un sussiego dietro il quale non vi è alcuna profondità. Continuando a voltare le spalle all’essenza della filosofia, oltre a galleggiare, si taglia il ramo su cui si è seduti. Forse, si intravede il dramma che, a valle, attende il torrente, ma si evita di guardarlo in faccia e di assumersi la responsabilità del tempo presente. Che conduce lontano dalle sicurezze del passato, ma di cui non si sa capire il senso, le possibilità e il risultato.