Picchioni, il mostro di Nerola che fu incarcerato a Civitavecchia

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L’agghiacciante storia del primo serial killer che sconvolse l’opinione pubblica con efferati delitti alle porte della capitale di Antonio Calicchio

Non è facile, né agevole la ricostruzione della vicenda giudiziaria e di cronaca di Ernesto Picchioni, alias il mostro di Nerola o mostro della Salaria, in quanto la sua attività risulta connotata da una serie di elementi oscuri, e, perfino, il numero degli omicidi ascrittigli non è certo. Basti ricordare che venne processato e condannato per aver ucciso alcune persone, ma aleggiava il sospetto che ne avesse, di fatto, ammazzate il doppio. Non è mai stato possibile verificarne il numero, e, a tutt’oggi, costituisce uno dei misteri più inquietanti di questa singolare figura, che si trasferì a Nerola (RM), nel 1944, al km 47 della via Salaria, unitamente alla sua famiglia. Sconta, nel 1946, alcuni mesi di carcere a causa dell’aggressione perpetrata a danno del proprietario del fondo in cui abita.

Qualche anno prima, sulla Salaria, cominciano a verificarsi misteriose sparizioni. La prima segnalata fu quella di un avvocato romano che scompare, senza lasciare traccia, fra il 5 e il 6 luglio 1944, mentre percorreva, in bicicletta, la via Salaria. Tre anni dopo, è un dipendente del Ministero della Difesa, partito da Roma, a scomparire, sempre sulla strada consolare. Però, questa volta, agli inquirenti, viene fornita una traccia: egli era partito in sella ad una bicicletta elettrica, modello “cucciolo”, una novità all’epoca che non tutti possedevano. Fu tale particolare a produrre una svolta delle indagini, ed è proprio l’omicida a fornire l’aiuto necessario ai Carabinieri di Nerola.

Nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa, Picchioni viene visto girare, per il paese, con una bicicletta elettrica, identica a quella descritta ai Carabinieri di Nerola di proprietà dell’uomo scomparso. Il Maresciallo della Stazione locale decide di non fermarlo e, invece, si reca presso l’abitazione dell’uomo, in sua assenza, per mettere alle strette la moglie, accusando lei di aver ucciso l’uomo scomparso. La donna cede quasi immediatamente, riferendo, al militare, una storia impressionante. Ed infatti, il marito ha ucciso più volte e l’ha sempre minacciata di morte, qualora avesse parlato. Poi, inizia a descrivere il modus operandi del marito.

Costui viene, quindi, arrestato per l’omicidio del dipendente del Ministero, ma dalle perquisizioni, presso il suo podere, verrà rinvenuto anche il corpo dell’avvocato romano, identificato dalla moglie, consentendo di accomunare i due uomini scomparsi ad un drammatico epilogo comune. In conseguenza delle dichiarazioni della moglie e dello stesso Picchioni, si venne a conoscenza di altre vittime, ed alcuni cadaveri furono rinvenuti in luoghi diversi, altri non si rinvennero mai e, in qualche caso, le vittime restarono, per sempre, anonime.

Sotto il profilo della scienza criminologica, va osservato che l’iter posto in essere dal mostro di Nerola era fisso, proprio del serial killer organizzato. E, certamente, la fase della cattura della vittima si mostra condotta sulla base di una tecnica che i criminologi definiscono “del ragno”. Ed infatti, l’omicida impiega un espediente in vista di indurre la vittima ad entrare nel suo territorio (quasi sempre la sua casa e, dunque, un luogo, per lui, sicuro), sopprimendola con pochi rischi. La metafora della tela del ragno è particolarmente indicativa per esprimere la tipologia attuata dall’omicida seriale che intende colpire alla cieca, avendo come obiettivo l’appropriazione di beni appartenuti alla vittima. E’ un aspetto, questo, che caratterizzò anche il comportamento del mostro di Nerola il quale non si relazionava mai ai corpi delle vittime con intendimenti di natura feticistica, generati da parafilie di vario genere.

L’orrido progetto di questo mostro si svolse dal 1944 al 1947. In quel periodo, ebbe occasione di raccogliere quella manciata di beni che gli permetteva di passare qualche giorno di bagordi, in osteria, tra le carte ed il vino, interrompendo temporaneamente la sua esistenza di disoccupato. Dopo l’arresto, venne tradotto in una cella di massima sicurezza del carcere di Civitavecchia; e così, fu condannato a due ergastoli. A lui non venne riconosciuta alcuna attenuante per infermità mentale o altre patologie che potessero condizionare la sentenza. L’unica sua difesa fu un movente di carattere politico ai suoi delitti. Tuttavia, in prigione trascorse circa vent’anni, poiché, nel 1967, venne stroncato da un infarto, presso il carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro, nell’Isola d’Elba.

Al mostro della Salaria è ispirato il racconto I nostri graffiti, da Le ombre bianche, di Ennio Flaiano e lo stesso mostro viene citato da Totò, nel film Totò contro i quattro.