Il suicidio
a cura della Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta
Visti gli eventi di cronaca di questi ultimi giorni, mi sembra opportuno parlare del suicido. Il suicidio è l’atto volontario di procurarsi la morte.
Ci sono vari tipi di suicidio:
1- il suicidio collettivo o di massa, in cui un gruppo di persone si tolgono la vita contemporaneamente (spesso succede nelle sette religiose);
2- il suicidio assistito, attraverso cui una persona aiuta un’altra a morire, solitamente malata terminale, offrendo assistenza e/o i mezzi;
3- suicidio allargato o omicidio-suicidio in cui la persona (solitamente un genitore) prima uccide i famigliari (coniuge e figli) poi, entro una settimana, se stesso.
Anche l’uso costante e continuo di sostanze stupefacenti, un forte autolesionismo e frequenti comportamenti a rischio (sessualità promiscua e senza protezioni, uso di siringhe già usate da altri, guida pericolosa, ecc.) potrebbero essere considerati un suicidio (sul lungo tempo) se sfociano nella morte mentre, se interrotti, diventano tentato suicidio.
Le persone che si suicidano solitamente sono maschi, benestanti, di buona cultura, adolescenti o over 60, con pregressi tentati suicidi o disturbi psichiatrici o con abuso di sostanze o con diagnosi di una grave malattia (autoimmune o cancerosa). È importante differenziare il suicidio dal tentato suicidio. Nel Tentato suicidio (più femminile) la persona lascia delle tracce per venire trovata in tempo e salvata e l’obiettivo è di comunicare il suo star male. Nel suicidio, invece, la persona pianifica l’atto in modo perfetto e le tracce lasciate portano a trovarlo solo dopo che la morte è sopraggiunta; la persona considera il suo stato di vita talmente pessimo e senza vie d’uscita che l’unica alternativa è togliersi la vita, eliminare la vita dalla propria esistenza.
Il suicidio, così, è un atto razionale, programmato e privo di intoppi. È fondamentale distinguere delle fasi:
I) la persona stava male, probabilmente era fortemente depressa e nessun aiuto (qualora l’avesse cercato), nessuna terapia farmacologica o psicoterapica avevano dato la soluzione da Lei cercata; oppure, paradossalmente, la persona iniziava a stare bene e si accorge che la sua vita non è come avrebbe voluto fosse.
II) la persona trova nel suicidio l’unica soluzione alla sua esistenza e lì inizia la pianificazione suicidaria e da lì inizia a sentirsi veramente bene e realizzato. I suoi famigliari, i suoi amici, infatti, raccontano che i giorni prima del suicidio la persona era tranquilla e serena come mai lo avevano visto/a e si comportato in modo diverso dal solito (un mio paziente ha detto che il padre, la mattina del suicidio, lo ha salutato con un bacio sulla fronte…mai fatto prima!).
III) messa in atto del suicidio: la persona sceglie il luogo, l’ora, il modo e acquista i mezzi (va a comprare il tubo per lo scappamento o la corda per impiccarsi); saluta le persone, lascia una lettera di addio e ringraziamento… ma questa lettera deve essere letta solo in un determinato momento e se lo fa promettere. Quando le persone leggono la lettera o il messaggio si rendono conto della situazione, cercano e trovano il proprio caro che è appena morto.
Il suicidio, qualsiasi forma esso sia, è sempre considerato dal suicida una liberazione, l’unica vera e concreta soluzione possibile ad una situazione impossibile da sostenere. Il suicidio, però, è sempre traumatico per le persone che lo subiscono lasciando dei forti sensi di colpa e un grave sensi di inadeguatezza.
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