CARAVAGGIO E IL “CARCIOFOLO” PRINCIPE DI PRIMAVERA

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PER 4 CARCIOFI AL BURRO MERISI RISCHIÒ LA PRIGIONE: IL “FATTACCIO” AVVENNE LA SERA DEL 24 APRILE 1604 ALL’OSTERIA DEL MORO NEI PRESSI DI PIAZZA NAVONA

di Angelo Alfani

Ce la fanno proprio pena’ ‘sta primavera: e con questa so’ già due. Così, tanto per “ariconsolasse co’ l’ajetto”, godiamoci queste significative immagini di “mareggiate” di carciofete cervetrane dei primi anni cinquanta. Prati a Campagnano e Castellammare dal fogliame lussureggiante da cui sbucano pregiate pigne chiuse, incorniciano un aneddoto ed una ricetta dell’unico vero Principe di Primavera: il carciofo. Il racconto è riferito al Caravaggio, uno dei tanti che confermerebbe l’atteggiamento collerico e da attaccabrighe del “giovenaccio, con poca di barba negra, grassotto con ciglia grosse ed occhio negro, vestito di negro, non troppo bene in ordine, che porta li capelli grandi longhi dinanzi”.

carciofoIl “fattaccio” avvenne la sera del 24 aprile 1604 all’osteria del Moro, in contrada della Scrofa, vicino Piazza Navona, di cui il Merisi era cliente. Ne fa testimonianza la querela per aggressione, conservata nell’archivio di Stato di Roma a Sant’Ivo alla Sapienza, presentata contro il Caravaggio stesso, da Pietro da Fusaccia, garzone dell’osteria. Il Pittore, seduto al consueto tavolo, ordinò «otto carciofoli cotti, cioè quattro nel butirro e quattro nell’olio». Non trascorse molto che il cameriere arrivò con un unico piatto colmo di carciofi fumanti, profumati di erbette aromatiche. Ma quali sono al burro e quali all’olio!? A tale legittima domanda lo strafottente ed ingenuo cameriere rispose: «Annuseli, così li riconosci!». Non lo avesse mai detto, il Caravaggio afferrò il piatto lanciandoglielo contro, urlando: «Se ben mi pare, fottuto becco, ti credi di servire qualche barone?!». Nella denuncia si cita una leggera ferita alla guancia sinistra. È certo che nel locale si scatenò una rissa generale e nella confusione il garzone riuscì a svignarsela per i bui e stretti vicoletti, inutilmente inseguito dal Caravaggio. Alla querela seguì un rinvio a giudizio. Il Caravaggio riuscì ad evitare la condanna grazie alla testimonianza (forse prezzolata ) di un altro padano, piacentino per l’esattezza, che giurò che l’accusato aveva tutte le ragioni per reagire in quel modo in quanto il garzone, alla domanda sui carciofi, «afferratone uno se lo strofinò avanti e indietro sotto al naso».

carciofoDa cervetrano mi viene da dar ragione al cameriere perché il solo ordinare «carciofoli cotti al butirro» è peggio che prende a calci un cane sull’altare.

 

La ricetta è un classico della cucina nostrana, conosciuta, per estensione, col nome di Carciofi alla romana.
“La morte sua” affermava mia nonna, parsimoniosa in tutto ma non nello “scarciofolare” i cimaroli:

  •  Prendere dei carciofi appena raccolti, tagliare la parte del gambo più dura togliendone la parte più filacciosa.
  • Sfogliare il carciofo fino a che rimangano per due terzi le parti più chiare e tenere delle foglie, tagliare la punta e immergerli in acqua acidula.
  • Mettere all’interno della parte centrale sale e pepe, ajetto fresco e un po’ di mentuccia cresciuta sul tufo.
  • Metterli a testa in giù in una pentola dai bordi alti in modo che i carciofi siano abbastanza stretti tra loro.
  • Aggiungere olio d’oliva fino a un terzo del carciofo, allungando poi con un bicchiere d’acqua.
  • Coprire con un foglio di carta paglia e mettere sopra il coperchio un peso, possibilmente da telaio etrusco, per mantenere all’interno il vapore di cottura.
  • Una volta che comincia a bollire abbassare e continuare la cottura.
    Buon appetito!