ALLEVAMENTI INTENSIVI

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INQUINAMENTO AMBIENTALE, SALUTE UMANA E BENESSERE ANIMALE.

di Alfonso Lustrino

Se compriamo carne, latte, formaggi e uova in un supermercato della grande distribuzione quasi sicuramente questi prodotti provengono da un allevamento intensivo. Ciò avviene fondamentalmente per due motivi: offrire un prodotto a basso costo e produrne una quantità elevata.

Per “allevamento intensivo” si intende una forma di allevamento che utilizza tecniche industriali e scientifiche per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio, tipicamente con l’uso di appositi macchinari e strutture.

Negli allevamenti intensivi di MUCCHE gli animali vengono cresciuti, rinchiusi in gabbie o capannoni, nutriti con mangimi industriali, curati con antibiotici per evitare eventuali epidemie. La vita delle mucche da latte è forse quasi la peggiore, perché prevede che questi animali vivano un’intera (breve) vita all’insegna dello sfruttamento più estremo. Fino a che saranno in grado di produrre latte, infatti, verranno tenute in vita, fatte partorire e, una volta nato il vitello, il loro latte verrà utilizzato per la produzione mentre il cucciolo sarà avviato alla crescita e all’ingrasso per essere destinato all’industria della carne. La vita delle mucche da latte si riduce a uno spazio ristretto, una gravidanza ogni anno e circa 28 litri di latte prodotto al giorno contro i 4 che produrrebbe in condizioni naturali.

Gli allevamenti intensivi di POLLI non sono da meno. Parliamo del 95 % della produzione. L’allevamento avviene in genere all›interno di edifici, spesso privi di finestre, in cui si ha una densità di 17-22 polli per metro cubo. Arrivano quindi a trovarsi sotto lo stesso capannone centinaia, se non migliaia di polli. Sui polli boiler ci vorrebbe un capitolo a parte.

In un allevamento intensivo di GALLINE le povere mal capitate trascorrono tutta la loro vita in una gabbia grande come un foglio A4, sotto un capannone, con luci al neon sparate 18 ore su 24 (per aumentare la produzione), con mangimi industriali, sottoposte a cure antibiotiche preventive. Uso che negli allevamenti avicoli è molto alto e ha favorito  l’aumento dell’antibiotico resistenza animale con  possibili ricadute sulla salute umana. Tra l’altro l’ignaro consumatore spesso ripiega su uova che riportano la dicitura “allevate a terra”, senza sapere che l’unica differenza è che le galline non sono in gabbia, ma restano tutte le pratiche consentite negli allevamenti in batteria.

Sebbene nascosti alla vista, gli allevamenti intensivi di PESCI arrecano danno agli animali e all’ambiente tanto quanto le controparti sulla terraferma. I pesci sono stipati in spazi ridotti, dove i loro comportamenti naturali vengono limitati. In molti casi l’acqua è sporca ed inquinata, il che espone i pesci a malattie, infezioni e parassiti. Per porre rimedio, gli allevatori utilizzano prodotti chimici ed antibiotici.

In Italia i MAIALI cresciuti e macellati sono circa 12 milioni ogni anno. Si tratta di milioni di capi nati, cresciuti e uccisi senza mai aver visto il cielo o aver respirato aria pulita. Le scrofe vengono fatte partorire e subito separate dai cuccioli. Entro i primi sette giorni di vita, i cuccioli vengono sottoposti a una crudele. pratica di castrazione chirurgica senza anestesia e mutilazione di denti e code, operazione permessa per legge e che non necessita di essere effettuata da un veterinario.

CONSEGUENZE
Gli allevamenti intensivi non fanno male solo agli animali. Le conseguenze di questo sovra-sfruttamento infatti ricadono anche sull’ambiente e sulla nostra salute. Un collegamento che merita attenzione è quello tra allevamenti intensivi e sviluppo delle pandemie, venuto a galla prepotentemente con il dilagare del covid-19. Nei mesi caldi del contagio, tutto il mondo ha conosciuto il cosiddetto “salto di specie”, che identifica il passaggio di una malattia da una specie animale all’altra (nello specifico, all’uomo). Per il coronavirus, si sono succedute nel tempo diverse ricostruzioni, che hanno identificato il punto di partenza prima nei pipistrelli, poi nel pangolino.

Al netto delle ricostruzioni specifiche, ciò che rileva parlando di allevamenti intensivi è proprio la costatazione che queste strutture sono il brodo di coltura ideale per fenomeni di questo tipo, a causa dell’alta densità di capi di bestiame, soprattutto se non sottoposti a controlli adeguati. A dirlo non è un gruppo di sconclusionati complottisti ma il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, che parla espressamente della necessità di prevenire le prossime pandemie, ripensando in modo unitario azioni a favore della salute umana, della salute animale e della protezione dell’ambiente.

SOLUZIONI
Alla luce di quanto detto, è possibile immaginare il completo superamento degli allevamenti intensivi? Probabilmente sì, ma a patto di accettare uno sforzo davvero notevole per rimuovere le cause stesse che hanno decretato il successo di questo sistema. Infatti, se oggi gli allevamenti industriali sono la regola, lo si deve anche al fatto che rappresentano la risposta più efficiente alla massiccia crescita del consumo di carne. Evidentemente qualsiasi sforzo risulterà vano senza una radicale diminuzione dei consumi di carne.

In questo fosco scenario assume una vitale importanza la valorizzazione dei metodi biologici. È necessaria una rivoluzione del sistema di produzione alimentare che preveda l’abbandono dei modelli intensivi di allevamento e che ricorra al biologico non come tentativo di greenwashing ma come reale pratica per un’alimentazione sana e sostenibile. Nel metodo biologico nessuna delle pratiche sopraesposte sono consentite.

L’allevamento biologico è una tipologia di allevamento che rispetta le abitudini naturali dell’animale. I benefici sono molteplici: per la salvaguardia dell’ambiente, per il benessere degli animali e per i consumatori finali, che godono dell’alta qualità dei prodotti da allevamento biologico.

CONCLUSIONI
Mangiamo meno proteine animali; mangiamo biologico. L’Ortica del Venerdì, punge ma non fa male. Unica ed originale.