Papa Francesco e il “riformismo cristiano”

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Un pontefice che difende con tenacia l’umano dall’abisso, che è una semina di amore e conoscenza, che la gente cerca giacché ha sete di verità.

Antonio Calicchio

Il 13 marzo 2013, alle ore 19:06, dalla Cappella Sistina, si eleva la fumata bianca e, alle 20:13, viene annunciato l’Habemus Papam: Mario Bergoglio è il nuovo Pontifex Maximus di Santa Romana Chiesa. Italo-argentino, nato nel 1936, è il primo a provenire dal Sud America, cioè “dalla fine del mondo”, ed è, inoltre, il primo Vicario di Cristo in terra a scegliere il nome di Francesco.

Ha conquistato, cattolici e laici, sin dalla sua prima apparizione con quelle parole che ancora risuonano nella nostra mente: “Fratelli e sorelle, buonasera … Sono venuti a prendermi alla fine del mondo … Pregate per me …”. Le sue scelte, i suoi gesti, il suo modo di essere hanno accresciuto, in misura impensabile, l’entusiasmo del mondo intorno alla sua persona. Abbiamo subito compreso di trovarci difronte ad una figura che ha fatto “professione di umanità”, che ama in maniera autentica e reale, senza leziosaggine e senza sconti.

Un uomo che ha applicato il criterio del servire e non quello dell’essere servito: “servus servorum Dei”. Un pastore che richiama al pensiero, alla parola, al progetto non nell’ottica dell’io, bensì in quella del noi. Una persona saggia che sa dare le risposte più elementari agli interrogativi più difficili. Un “profeta” che alza, senza timore, la sua voce allo scopo di mettere in guardia dalla deriva verso il potere, il danaro, la chiusura cieca, la “globalizzazione della indifferenza”, la grande ipocrisia che viene inquinando, a tutti i livelli, le relazioni interpersonali. Un Papa che ha voluto una chiesa senza sotterfugi, che non eviti di sottoporsi al giudizio del Vangelo.

Con lui, è sorta, da dodici anni, per l’umanità, una nuova primavera.

I suoi “Buongiorno”, “Buon appetito”, “Perdono”, “Scusa”, “Per favore” ci insegnano quanto sia importante far rivivere i più quotidiani rapporti sociali con rispetto, premura e cortesia. Il suo costante desiderio di incontrarci, la sua umiltà e il suo spirito di servizio, la sua spontaneità vera ci riportano a quelli di Cristo. I suoi inviti a svincolarci dalle pastoie dei formalismi e delle burocrazie, a conoscere la libertà nella verità, per essere noi più fratelli e i sacerdoti meno funzionari e più pastori sono inviti che non devono essere trascurati. Spesso chiede a ciascuno di noi di rifiutare la logica del tornaconto e del potere, la tentazione dell’apatia e della insensibilità e di tornare a sognare, a rischiare per gli alti ideali, familiarizzando con gli ultimi ed emarginati. Dai suoi scritti e dai suoi interventi si desume la consapevolezza di chi, confortato dalla fede, crede fermamente nel valore intrinseco della persona, come soggettività riconoscibile in ciascun essere umano, quale che sia la sua fase di sviluppo o condizione esistenziale.

Una delle enormi rivoluzioni da lui operate e che gli ha consentito di raggiungere milioni di persone è la presenza sui social network, cosicché con autenticità, immediatezza e semplicità utilizza uno stile che si riflette in una formula di comunicazione sobria e sintetica, con cui trasmette il suo pensiero, cristallino e privo di retorica. La profonda comprensione del messaggio evangelico e delle vicende umane si fondono in una soluzione linguistica che, in poche parole, include significativi e potenti messaggi.

Papa Francesco, come egli stesso dichiara, è “un prete, un vescovo, un cristiano” che adopera la sua naturalezza espressiva per “colloquiare” con la moltitudine dei suoi lettori-ascoltatori, con una forma agile di evangelizzazione rivolta a tutti indistintamente e che, al contempo, chiarifica contenuti dottrinali e morali ai fedeli.

Questo Papa, dunque, impressiona e seduce, come sopra accennato, anche innumerevoli intellettuali laici, in quanto non è soltanto un uomo di Dio, non si limita a possedere solidamente una fede, testimoniata anche dalla sua mitezza pastorale, ma ancor più dimostra una fiducia luminosa nella concretezza della componente terrena, umana, razionale della persona. I meno provveduti fra i suoi critici, interni ed esterni all’ambito cattolico, gli rimproverano un modernismo inefficace, perché, in cuor loro, sanno, assai bene, che la missione teologica di Bergoglio e il magistero di Francesco si saldano in una riflessione che rimanda al concetto di “riformismo cristiano”. I liberi pensatori non hanno paura delle parole. Ma dai suoi discorsi e dalle sue formidabili omelie si ricava un messaggio rivoluzionario per i nostri tempi. Fede, tradizione e innovazione della Chiesa sono compagne unite in uno scavo abissale nei significati della ragione che l’ideologia postmoderna rinnega e riduce a sofisma.

Un Papa non è un filosofo. Deve posare sul mondo uno sguardo carico di promessa e speranza. Ma l’ascolto non è sufficiente, e accanto alla parola che salva e non giudica occorre quella che induce anche il pensiero, senza di che ogni soglia morale e ogni ricostruzione vitale di un comportamento curioso della diversità del bene e del male, divengono astratto moralismo.

Dapprima, S. Agostino, S. Tommaso e, poi, S. Giovanni Paolo II, con la Enciclica Fides et ratio, Papa Benedetto XVI, con il libro Fede, Verità e Tolleranza, si sono compenetrati nella disquisizione in ordine al rapporto tra fede e ragione. E’ da rilevare, in proposito, che l’opzione per il lògos, e non per il mito, ha caratterizzato il cristianesimo fin dai suoi albori, tanto che l’affermazione iniziale del Vangelo di Giovanni “In principio era il Lògos” costituisce la parola conclusiva sulla nozione biblica di Dio. In questo quadro, il cristianesimo incrocia la filosofia greca, ferma restando la completa differenza che li divide proprio riguardo a Dio. Mentre il Dio dei filosofi, infatti, è una realtà a noi inaccessibile che non si occupa dell’uomo e a cui è vano rivolgersi nella preghiera, il Dio biblico ama, invece, l’uomo ed entra nella nostra storia, dando vita ad una vicenda che ha il suo culmine inaudito nella Croce. In tal modo, la fede biblica concilia quelle due dimensioni che si erano separate, ossia il Dio eterno, di cui dibattevano i filosofi, e il bisogno di salvezza. Dal momento che il Dio di Cristo è identicamente lògos e agape, ragione e amore, la fede cristiana reca con sé la prassi dell’amore del prossimo. Il legame di fede e ragione e l’orientamento dell’azione verso la caritas, la dedizione ai sofferenti, ai poveri, ai deboli hanno reso convincente nell’antichità la pretesa del cristianesimo di essere la “religione vera” e hanno agevolato la sua eccezionale espansione missionaria.

Oggi questa sintesi, come annotava Papa Benedetto XVI, verità e amore non convince più, poiché “la ragione e il cristianesimo cono considerati come contraddittori e reciprocamente escludentisi”, a causa della circostanza che nella cultura occidentale ha preso il sopravvento, da un lato, la limitazione della ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile e, d’altro lato, la rinuncia alla ricerca della verità. In luogo del Dio Lògos subentra l’idea che la verità è nascosta e irraggiungibile e che esisterebbero “le verità”, inerenti ai diversi contesti culturali, tutte ugualmente valide o non valide. Come la fede cristiana nel Dio Lògos e Agape si è concretata in una precisa forma di vita e morale, così si sta verificando per le forme di razionalità tendenti a sostituirsi al cristianesimo.

In altre parole, attualmente è molto frequentata l’opinione che la religione non salva, che la dottrina è ideologia senza spirito, che ciascuno ha da sopportare il peso di farsi da sé e con sé la propria sfera credente. Siffatto sentimento del sacro personale, anziché essere indice di conversione, può rivelarsi indizio di rassegnazione. Accettare che sia la tecno-scienza empirica, insieme ad un radicale storicismo relativistico, il pilastro concettuale della modernità, altro non vuol dire che decristianizzare, anche sul piano culturale, la società, quindi, depauperarla.

Papa Francesco guida, invece, la Chiesa investigando pubblicamente il nesso del messaggio messianico e trascendente con gli aspetti umani, immanenti e, dunque, razionali dei fedeli, con parole che tutti possono capire.

L’evangelizzazione, come già accaduto col suo predecessore, assume il tratto di una cura mistica disciplinata ed illuminata anche dalla riflessione, e l’idea che la violenza sia contraria alla natura di Dio si sposa con l’osservazione impietosa del tasso di brutalità disumanizzante contenuto nel modo di procedere della ragione strumentale della tecnica e di quella soggettivistica e solipsistica in cui volontà, individualismo e incapacità di conoscenza morale si rinchiudono. Da una analisi contemporanea del contemporaneo emerge la possibilità di ancorare bensì il contemporaneo al passato, di renderlo ossequioso della continuità e stabilità della vicenda umana e cristiana, ma anche di porlo al servizio del futuro. La vexata quaestio relativa al carattere del papato di Francesco, ovverosia se si situi nella “tradizione” o nella “innovazione”, va risolta, pertanto, a mio giudizio, nel senso che oltre a questi due percorsi egli ne segue un terzo, quello della “evoluzione” che non è “evoluzionismo”. Per evoluzione, qua, intendo l’impiego dei contenuti della tradizione al fine di adattarli, evolverli, ossia trasfonderli nella contemporaneità. Il cristiano e la Chiesa, allora, devono sempre sapersi rinnovare. Il nostro Papa ha tracciato uno “spirito nuovo” della dottrina che da “difensiva” diviene “propositiva”. Egli ritiene che i cattolici, primariamente giovani, debbano essere creativi, propositivi, appunto, mansueti e coraggiosi, ritrovando strumenti nuovi e promuovendo con intelligenza critica nuove prospettive: difesa della tradizione sì, ma in vista della instaurazione del futuro. E’ proprio la dimensione “propositiva” ciò che ha contrassegnato e contrassegna il contributo innovativo che Papa Francesco ha offerto alla Chiesa; contributo sistematico, incisivo, mai ripetitivo, sempre stimolante, talvolta intenzionalmente provocatorio, animato non meno che da un calore intellettuale e religioso infaticabile, ma pure da una generosità culturale e teologica che ci ha permesso e ci permetterà sempre di imparare, riflettere, sollecitandoci a guardare avanti.

La rigidità dottrinale in tema di diritto alla vita è il principale dono che la Chiesa, unitamente ai suoi maestri ed apostoli, esibisce agli uomini odierni. Questo scenario pastorale, morale e culturale merita attenzione e ammirazione, da parte di tutti.

Come rendere, quindi, nuovamente convincente il cristianesimo? Proclamando, assicurando e ricostituendo l’unità tra verità e amore; unità che, mediante la testimonianza dei fedeli, deve essere universalmente resa visibile, secondo quanto, per un verso, predicava Benedetto XVI e, per altro verso, medita e spiega Papa Francesco, al quale formuliamo la nostra gratitudine e il nostro affetto. Per lui continuiamo a pregare, tanto più in questo momento di fragilità e precarietà delle sue condizioni di salute e in concomitanza del dodicesimo anniversario della sua elezione al soglio petrino, affinché possa continuare a parlarci con le parole di Cristo e con la sua vita di fede, proseguendo quel magistero etico e spirituale cui guardano con speranza la nazione italiana e la comunità cattolica tutta. Il difficile clima storico che stiamo vivendo, connotato da venti di guerra che spirano tanto in Ucraina e Gaza, quanto in altre parti della terra, impone che al mondo sia diffusa, adesso, più che mai, la profezia della pace, di cui è stato sempre convinto assertore il pontefice, contro ogni linea giustificazionista della violenza e dei conflitti. Appreso questo, è indispensabile impegnare ogni possibile energia per edificare la pace, dinanzi al tribunale della coscienza, a quello della storia e, altresì, dinanzi all’ineludibile giudizio divino.