Sono arrivati i risultati delle analisi effettuate su un campione di acqua raccolto dalla fontanella di via Firenze a Ladispoli. Analisi volute e pagate dai cittadini. I risultati dal laboratorio sono giunti dopo circa una settimana. L’acqua è risultata di un livello sufficiente, non certo eccellente.
I cloruri alti, ma nei limiti
Il fluoro oltre il limite (anche se di poco)
L’arsenico a 7 mg/l (il limite massimo è 10)
Dati i costi è stato possibile raccogliere ed analizzare un solo campione d’acqua, non monitorare l’intero territorio. Iniziative come questa oltre ad essere ripetibili in futuro sono l’esempio di come istituzioni e popolo siano distanti in questo momento. Per chi non lo sapesse per avere la certezza della qualità dell’acqua che scorre dai rubinetti di casa alcuni cittadini hanno avviato una raccolta fondi, grazie alla quale è stata possibile l’indagine.
La perdita di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini che non si vedono più rappresentati nello loro istanze da chi dovrebbe, è un fenomeno che tende ad essere penalizzante perché legittima il cittadino a intervenire direttamente per la tutela delle proprie istanze che non vede più garantita dalle istituzioni. É quanto è successo nel caso dell‘acqua potabile a Ladispoli dove un gruppo di cittadini si è unito nella ricerca della verità sulla qualità dell’acqua nella città. Dubbio insinuato, forse, dalla poca comunicazione da parte dell’amministrazione comunale. Ricordiamo che, dopo l’ordinanza di non potabilità dell’acqua risalente al mese di giugno, dopo la notizia dei risultati discordanti tra le analisi effettuate dalla Asl Roma 4 e quelle effettuate dal gestore, più nulla è stato detto fino alla revoca dell’ordinanza di non potabilità dell’acqua in data 08 luglio. Ancora oggi i cittadini non sanno quanto sia successo. L’atteso comunicato da parte del gestore si è tradotto in un post sulla pagina Facebook della Città di Ladispoli che avverte solo che l’acqua nella zona di Palo Laziale è tornata potabile.
A nulla è servito sollecitare una comunicazione che non lasciasse indietro nessuno, tipo chi non naviga sul web, per esempio. Neanche l’aver condiviso la notizia di una utenza abusiva come causa della contaminazione ha portato ad una più completa informazione da parte degli organi preposti. Massimo riserbo sulla vicenda. Eppure potrebbe essere un diritto dei cittadini conoscere i motivi per i quali non hanno potuto utilizzare l’acqua del rubinetto ma sono stati costretti a recarsi alla botte di acqua potabile messa a disposizione in piazza delle Sirene, oppure ad acquistare l’acqua in bottiglia per lavarsi i denti. Di chi è la responsabilità della contaminazione?