Intanto il cerveterano Ciaralli annuncia la chiusura della sua azienda dopo 42 anni.
La chiamano crisi del latte, ma la crisi è per i produttori alcuni dei quali, anche nella nostra zona, stanno iniziando a mollare. Colpa di un sistema feroce che, come in altri settori, sta cancellando le tradizioni di allevatori, artigiani, viticoltori e chi più ne ha più ne metta.
Questa storia si può racchiudere in due righe. I produttori, appunto, lavorano per vendere il latte che però viene pagato sempre di meno. A tal punto che non ci si guadagna più come prima e le spese aumentano a dismisura considerando i costi per mantenere aperte le aziende. Una speculazione che magari finirà per spingere il Paese a importare anche il latte, un triste scenario che si spera possa essere bloccato. Mentre i sindacati sono deboli e non riescono a ottenere risultati importanti.
Intanto però c’è chi inizia a gettare la spugna sul litorale. «Non ci resta che chiudere. La nostra decisione ormai è stata presa e non torneremo indietro». La storica famiglia Ciaralli-Di Pietro, produttrice di latte, si fa sentire. È Carmine a confermare la chiusura dell’attività nel 2024. La crisi del settore con i prezzi al ribasso del conferimento si fanno sentire anche in terra etrusca. L’allevatore cerveterano in realtà ha già iniziato a vendere il suo bestiame. «Le prime 30 vacche le ho già cedute nel sud del Lazio – conferma Carmine Ciaralli – è stata una decisione naturalmente sofferta ma i costi sono alti, il conferimento del latte ci viene pagato sempre meno anche se nella distribuzione i prezzi non sono più bassi. I sindacati non ci hanno aiutato veramente».
L’azienda è rimasta ora con 400 tra vitelli e vacche. È una delle 500 aziende produttrici del Lazio. «Siamo qui dal 1980 – prosegue – e producevamo molto latte. Ora siamo arrivati a 45 quintali al giorno ma entro il 2024 non ci saremo più. Basta, non c’è più convenienza, ci fermiamo qui».
Altre realtà di Cerveteri, Fiumicino e del litorale potrebbero fare la stessa fine. «Nei prossimi mesi terminerà l’aiuto dello Stato denominato “Benessere animali” – conclude Ciaralli – e non si sa come faranno ad andare avanti i vari produttori del latte. Personalmente mi sono salvato finora grazie ai premi essendo nei primi 10 nella qualità del latte prodotto tra i 110 della nostra cooperativa Latte Più, altrimenti avrei già chiuso tempo fa». Nei mesi scorsi anche molti colleghi di Cerveteri, così come altre realtà di Fiumicino e Roma, avevano protestato non accettando l’abbassamento del prezzo da 60 a 57 centesimi per poi scendere ancora. «Di questo passo non ci sono alternative che chiudere – si accoda Pino Giacomobono, altro allevatore di Cerveteri – nell’ultima fattura il latte me l’hanno pagato 54 centesimi al litro. Noi ne produciamo mille al giorno. In questa storia c’è solo una grande speculazione perché al mercato non è meno caro. Si sono abbassati i contributi per le semine, ci impongono l’uso di prodotti nelle aziende che nemmeno servirebbero e a maggio quando gli aiuti dello Stato finiranno tante famiglie andranno in ginocchio».
Nel mese di marzo Ismea, l’Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo, ha pubblicato l’analisi svolta nella regione Lazio su un campione di stalle della cooperativa, da cui è emersa una stima del costo di produzione del latte pari a 0,65 euro a litro. Tra Cerveteri e Ladispoli ci sono 5 aziende, a Fiumicino molte di più. La situazione potrebbe peggiorare nel 2024.
La Cia Lazio intanto si fa sentire chiedendo «subito un confronto con nuovo Cda Centrale del Latte di Roma». Poi le richieste: «È stato messo a punto un piano strategico? Quali saranno i prezzi di acquisto del nostro latte? Quali produzioni verranno confermate? Quali quelle abbandonate? Per sciogliere questi ed altri quesiti, Cia Lazio chiede alla nuova governance della Centrale del Latte di Roma un incontro urgente che veda protagoniste le organizzazioni agricole».