E’ passato un quarto di secolo, ma Cerveteri ha ancora nel cuore quell’indimenticabile 26 maggio quando Vincenzo Ceripa realizzò il miracolo
di Gianni Palmieri
Ci sono personaggi che scrivono la storia sportiva di una città e di un popolo. E che potrebbero andare sopra le righe e dire tutto ciò che vogliono. E “Re” Vincenzo Ceripa avrebbe potuto ostentare il suo trionfo per decenni, consapevole di aver realizzato un’impresa che difficilmente gli appassionati di calcio di Cerveteri potranno più rivedere. Ma Ceripa è un uomo di classe, fu definito il più signorile degli allenatori, un vincente che ha trionfato per sei volte in vari campionati, compiendo il miracolo sportivo di portare il Cerveteri nel calcio professionistico. E’ passato un quarto di secolo, era un caldissimo 26 maggio del 1991 quando i verdeazzurri sconfissero allo spareggio il Giorgione dopo una serie interminabili di calci di rigore. Una città andò in delirio, quella magica sera fu scritta la pagina più prestigiosa del football cerite, Cerveteri entrava a palazzo nella Serie C/2. Nel calcio che conta. Sembra un secolo a parlarne ora, chi ebbe la fortuna di esserci quel giorno allo stadio Galli ha ancora negli occhi e nel cuore il boato al momento della vittoria. Tremarono anche le tombe etrusche quel giorno. L’Ortica ha così deciso, proprio in questi giorni in cui al Granarone si è celebrato il 25ennale di quella mirabile impresa davanti ai giocatori dell’epoca, di intervistare Vincenzo Ceripa per un ricordo a distanza di tanto tempo di un momento che nessuno potrà mai dimenticare.
Mister, perché la festa dopo un quarto di secolo?
“Inizialmente voleva essere un momento privato. Un rivedersi tra giocatori, tecnici, preparatori, dirigenti, tifosi e tutti coloro che parteciparono a quella favolosa promozione. Poi in molti hanno chiesto che fosse realizzato un evento pubblico, il Sindaco stesso ha fortemente voluto questa festa, abbiamo così deciso di rendere tutti insieme un omaggio a questi giocatori che realizzarono un’impresa clamorosa. Dobbiamo ringraziare la stampa che ci ha sostenuto con lo stesso calore con cui nel 1991 raccontò le nostre gare. E’ stato un momento intenso, anche rivedere i giornalisti che ci seguivano quotidianamente ci ha fatto emozionare”.
Perché il calcio che conta da oltre venti anni è scomparso a Cerveteri?
“Occorre una premessa – prosegue Ceripa – che pochi ricordano. L’impresa non fu solo la promozione in Serie C/2. Fu anche eccezionale l’anno dopo evitare la retrocessione ai play off contro il Teramo in un girone dove c’erano squadre fortissime.E fu splendido nel 1994 che ci vide primi in classifica alla fine del girone di andata . Poi le vicende societarie rallentarono la nostra corsa, ma ci permisero di piazzarci al sesto posto in campionato, arrivando dietro a club blasonati come Rimini, Pistoiese, Viareggio e Prato. Purtroppo il calcio professionistico comporta dei costi di gestione elevatissimi, se una società vuole essere competitiva deve avere grandi risorse. A Cerveteri c’erano imprenditori all’altezza, ma che non vollero interessarsi mai e imprenditori non in grado di sopportare uno sforzo economico elevato ,affiancati da troppa gente improvvisata; il fallimento e la perdita dei titoli sportivi furono inevitabili. Fu un gran peccato, se ne pagano ancora le conseguenze, da quel momento, fino ad oggi il calcio locale non e’piu’riuscito ad andare oltre i campionati dilettanti regionali. E’impensabile trovare operatori economici che abbiano voglia di investire per formare squadre in grado di competere . Un po’ come accade in Serie A dove il campionato se lo giocano quelle pochissime squadre ricche, le altre fanno da sparring partner. E questo spiega come la Seria A quest’anno sia stata una delle più noiose degli ultimi decenni. Aggiungiamoci che si gioca tutti i giorni ed a tutte le ore ed ecco delineato lo scenario che sta uccidendo il calcio dilettantistico che non ha più spettatori. Cerveteri non sfugge a questo andazzo”.
Come vede il calcio del nostro territorio?
“Male, come per tutti, purtroppo. Come dicevo prima la concorrenza della televisione che trasmette partite ogni giorno ed a tutte le ore della domenica ha dato il colpo di grazia alle società dilettantistiche. Se alle 12,30 trasmettono ad esempio Lazio – Napoli o Roma – Inter, ma chi va a vedere una gara di Eccellenza, Promozione o Prima categoria se non i parenti dei giocatori? Senza spettatori il calcio muore”.
In questa logica, secondo lei a cosa serve allora il nuovo stadio che hanno costruito a Ladispoli, città dove la squadra non ha tifosi?
“Sinceramente – esclama Ceripa – se lo dovessi rapportare ai tifosi che seguono i Ladispoli direi che serve a poco . Spero sia il primo passo per riavvicinare la gente alla squadra locale, e tenendo conto della storia dei rossoblu che e’sempre stata una squadra che ha militato tanti anni in Interregionale, e se retrocessa in Eccellenza ne e’stata sempre protagonista , è stata una scelta davvero coraggiosa e densa di ottimismo e fiducia e magari che possa essere ripagata in futuro qualora il Ladispoli diventasse un riferimento comprensoriale . Gli anni dei derby infuocati tra Cerveteri e Ladispoli non torneranno più. Allora il calcio, anche dilettantistico, era passione e furore. Era rappresentativita’ della propria citta’. Ora tutto e’cambiato, non esiste l’attaccamento alla maglia. I tifosi si sono disamorati”.
Come è stato il salto dalla panchina a casa quando ha deciso di smettere di allenare?
“Ho staccato la spina nel 2010 dopo trenta anni da allenatore. I primi tempi furono terribili, la nostalgia del campo era devastante. Ma ho riscoperto la gioia di stare in famiglia, di non vivere con la tensione a mille per la partita. Ora mi occupo di danza ed è un mondo meno caotico e molto affascinante e anch’essa inserita nel campo formativo sportivo dei giovani. Non tornerei ad allenare nemmeno se mi proponessero panchine professionistiche. Il mio tempo è finito come tecnico nel 2010”.