Te saluto Pennacchì

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Finzione

Cerveteri al voto: stessi cavalli, stessi fantini
di Angelo Alfani

Nell’era dell’autismo corale la battaglia politica è divenuta un Kolossal simile a I Dieci comandamenti, un masterChef che allupa i cittadini-spettatori.

Non si va a votare per scegliere un governo, ma per creare un nuovo genere di intrattenimento. Fumogeni sparati ad altezza d’uomo, fuochi di artificio a ridosso delle nuova tornata elettorale, con programmi che valgono meno de un sordo falso. Si assiste all’incoercibile arrivismo dei soliti che da anni si scambiano le sedie al vecchio granaio dei Marescotti.

Come diceva il Gran lombardo: “Senza il tumultuoso ribollimento che li ha portati a galla come l’onda il turacciolo, molti di essi sarebbero riusciti indocili perdigiorno a vivacchiare di espedienti”. Frase che il Maestro della Tolfa, la piccola Parigi, traduceva da par suo: “Braccia proditoriamente rubate alla zappa!”

La straordinaria capacità della finzione di diventare realtà si è sostanziata nella rappresentazione che fa di se stesso chi campa di politica. Da una società in cui le finzioni sorgevano dal mutamento fantasioso del reale, si è passati ad una società in cui è la realtà ad alimentarsi della finzione.

Io sono rimasto all’antica, ai tempi in cui la realtà superava la finzione, come nel racconto che Mario Bisner, detto Majetta, cervetrano fin nei pedalini, faceva del suo incontro, per un postarello alle Tombe, con il Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia Erminio Pennacchini.

Arrivato al Ministero, Majetta si intrattenne con la segretaria che si palesa cugina di un tolfetano emigrato a Cerveteri a cercare fortuna. “Oramai è fatta!” pensò Majetta.

Realtà

Il colloquio col pezzo grosso è breve e pieno di convenevoli e complimenti. “Finalmente un bel ragazzo: sano, che non zoppica e non è mezzo guercio! Ma senta Bisner lei è uno dei nostri vero!?” concluse il democristiano Pennacchini.

Io so’ un compagnero!” rispose Majetta alzando il pugno. “Il Piave con me nun se passa! Anzi sai che te dico: me ne torno a Cerveteri a legge il Corriere dello sport al bar di Marzio mentre tu stattene qui ar chiodo! Te saluto Pennacchì!”

Anche così andavano le cose negli anni dorati di Cerveteri, anni in cui la Comunità si assiepava lungo la polverosa strada che porta ai Vignali per partecipare all’evento degli eventi: la corsa al fantino. I cavalli erano gli stessi ma montati da fantini diversi.

C’è da auspicarsi che per il Palio del Granarone, accada lo stesso.

Mi auguro che chi, con la stucchevole sicumera da primi della classe e per di più spruzzando di Parfume de méchanceté il territorio della Bassa Etruria, ha palesato la sua inadeguatezza a far progredire la nostra Comunità, finisca tra gli scancellati.

Ma soprattutto confido che la nostra Comunità, presa da sconforto cosmico e quindi disposta a tifare per chi rigurgita in difesa di miseri privilegi, come fa il Joker casereccio genovese, possa avere la speranza che non debba essere sempre vero quanto poetava G. Gioacchino Belli nel sonetto E’ ‘ggnisempre un pangrattato.

Pe nnoi, rubbi Simone o rubbi Giuda, / maggni Bartolomeo, maggni Taddeo, / sempr’è tutt’uno, e nun ce muta un neo;/ er ricco gode e ‘r poverello suda.

P.s. Tra le due foto corrono alcuni anni: quella in biancoenero imprigiona giovanotti che, durante una pausa di un veglionissimo di carnevale al cinema di Zaira, si fingono rocchettari. L’altra, a colori, è il vero complesso etrusco in registrazione.