Il 24 dicembre scorso, papa Francesco ha aperto la Porta Santa, inaugurando ufficialmente l’anno giubilare 2025. Per la Chiesa, il Giubileo rappresenta l’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della rinascita.
DI ANTONIO CALICCHIO
Questa volta, esso ci richiama ad essere “Pellegrini di speranza”. Ma può parlarsi, oggi, di speranza, in un mondo che si profila lacerato da orribili guerre? Allarmato dal reale rischio di un conflitto nucleare? Si può parlare di speranza in un mondo basato su una crescente disuguaglianza fra Sud e Nord, su inarrestabili flussi migratori, sullo spettro di ulteriori pandemie, su un eco-sistema assai malato?
Orbene, da una analisi razionale dell’attualità, discende la nostra tentazione di vivere il Giubileo e la Pasqua con sentimenti di mestizia, poiché la nostra intrinseca sensibilità non ci lascia indifferenti innanzi al dolore che hanno patito, e stanno patendo, innumerevoli famiglie che curano le ferite, psichiche e fisiche, dei loro parenti o che piangono la morte recente, a poca distanza dal luogo in cui Cristo si è incarnato, è morto e risorto, proprio nella terra definita “santa”, ma che la storia contemporanea rilegge come “martire”. Senza trascurare, poi, il regime comunista della Cina che opprime i diritti di libertà e minaccia la civiltà occidentale.
Nelle proclamazioni esposte ad opera del S. Padre ricorre sovente l’affermazione che il cristianesimo si configura religione di salvezza. Alla radice della riflessione intorno al senso del Giubileo si rinviene bensì la consapevolezza del male che, in ogni sua forma, attenta alle nostre esistenze, ma anche la speranza, ossia quell’ottimismo cristiano che proietta sul Giubileo stesso la luminosità della gioia. Giubileo che costituisce, dunque, occasione, da un lato, per la ripresa della coerenza nella testimonianza cristiana, dall’altro lato, per lo sfatamento dell’ossessione ideologica che vede nel cristianesimo una morale essenzialmente intessuta di divieti e, quindi, nella vita del cristiano una sequela di rinunce e di oneri frustranti. Non è colorita retorica quella che ha sospinto il papa a recarsi in territori dilaniati dai conflitti della nostra epoca; né è ingenua insistenza quella con cui, in molteplici documenti, rinnova l’auspicio di una riduzione, se non proprio totale condono, del debito internazionale che grava sul destino di tante nazioni. In ciò, infatti, riscontriamo l’indicazione di un itinerario di riconciliazione che esige sempre la sincerità ovvero il riconoscimento della responsabilità che sia ad uomini, sia a nazioni incombe nell’agire. E tale consapevole assunzione di responsabilità, in uno alla positiva disposizione ad adempiere al proprio dovere al fine di migliorare le cose, cominciando da se stessi, traccia la differenza fra la speranza e la menzogna delle utopie intra-mondane.
Tuttavia, in questo tempo, nel quale il male pare aver preso le redini del consorzio umano, e non soltanto in Medio Oriente, vogliamo, nella prospettiva di quella Porta Santa alla quale accennavo, guardare al futuro attraverso la lente della speranza, la virtù cui il pontefice ha voluto orientare, appunto, l’Anno Santo.
La speranza ci aiuta a ragionare legittimamente con maggiore obiettività in ordine agli accadimenti, del passato e del presente, permettendo di non aver timore del tempo a venire.
La speranza ci fa comprendere che siamo chiamati a offrire il nostro contributo, a qualsiasi titolo e con qualunque mezzo, in vista di preparare condizioni migliori, in tutti i settori della nostra esistenza: dal micro-cosmo della famiglia o dell’ambiente professionale alla comunità cittadina di cui siamo parte; dalle istituzioni statuali che ci identificano all’intero pianeta, sempre più ansante di pace.
Pertanto, occorre alimentare la volontà di possedere e di praticare la speranza; occorre diffondere la cultura della speranza che “non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che nulla e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino” (papa Francesco).
Nell’odierno contesto di buio della nostra società, la Pasqua designa la luce che viene proprio allo scopo di donarci una speranza trascendente le miserie e le ingiustizie umane. E si può essere “Pellegrini di speranza” sol che si adottino misure concrete contro l’ingiustizia ed il male che sfigurano la bellezza della Terra e dell’umanità. Dobbiamo impegnarci al rispetto leale e all’azione accorta per la salvaguardia della natura; riconoscere e difendere il valore fondamentale della fratellanza universale; recuperare quegli ideali di umanità e di solidarietà che hanno sempre connotato la cultura dell’Occidente; fronteggiare la tragedia della povertà che impedisce a milioni di individui di vivere con la dignità ontologica e la libertà inalienabile di persone umane; moralizzare la vita pubblica, promuovere il benessere collettivo e la giustizia sociale. E mantenere ardente la fiaccola della speranza per fornire a tutti i disperati la forza e la certezza di guardare il futuro con occhi ed animo fiduciosi.
Nel segno di Cristo, divenuto per noi Maestro di speranza, il quale ci ha insegnato che morire è un verbo, non un fatto, auguri di una S. Pasqua, illuminata da quella pace che vogliamo regni presto nei cuori di ciascuno e di tutti.