
Psicologo – Psicoterapeuta
Voglio affrontare, con questo articolo, un aspetto della comunicazione genitore-bambino tra i più significativi e potenzialmente patologici che ci sono: esso è quello che viene comunemente indicato come “doppio messaggio” e che rivela l’incongruenza emotiva dei genitori nel comunicare le loro emozioni e la loro difficoltà a tollerare l’ambivalenza emotiva nei confronti del figlio. Esso si verifica quando un gesto viene contraddetto dalle parole o viceversa. È il caso del genitore che, a conclusione di un diverbio, dice al bambino “Su, dai vieni qui e dammi un bacio” e che mentre lo dice prova ancora rabbia ed ostilità nei confronti del figlio. Tali sentimenti porteranno il genitore, a livello non verbale ed inconscio, a comunicare al figlio ostilità ed a respingerlo con il corpo rimanendo, per esempio, freddo e teso nell’abbraccio (se mai c’è) e tagliente nello sguardo. In tal modo a livello non verbale e corporeo si contraddice il “gesto di pace” che si comunica a livello verbale. Il risultato è una comunicazione ambigua in cui il “sì, vieni qui che ti voglio bene e voglio fare la pace” si sovrappone con il “No, stammi lontano, in questo momento non ti voglio né ti sopporto”. Di fronte a questo “ti amo e ti odio”, il bambino si disorienta e gli effetti sono due: 1) intanto è confuso e appunto disorientato e non sa come reagire, ovvero non sa se avvicinarsi al genitore e dargli un bacio, come lei/lui gli chiede in modo esplicito, o se al contrario scostarsi, come sembra suggerire il corpo, l’espressione facciale e tutto il non verbale del genitore. Entra anche in confusione, ad un livello più profondo, circa la sua capacità di dare ascolto e considerare attendibili i suoi sistemi di percezione che gli segnalano che non si deve fidare, che quello che gli dice il genitore non corrisponde a quello che il suo sistema innato di percezione gli comunica. Però poiché lo dice il genitore, ed egli si fida del genitore, comincia allora a diffidare delle sue abilità innate di percepire le emozioni e gli stati d’animo, suoi e degli altri. Capite che da adulto questo bambino avrà molta difficoltà a gestire le relazioni affettive e a fidarsi delle sue emozioni e sensazioni. Crederà agli altri ma non si fiderà di se stesso e di ciò che sente; oppure sarà sempre molto angosciato e disorientato quando si tratterà di avere a che fare con le emozioni e gli affetti e pertanto potrebbe difendersene strenuamente “come congelandosi” e iper-razionalizzando tutto: apparirà così agli altri freddo e distaccato, quando invece in realtà è solo molto spaventato e confuso. 2) il secondo effetto è che l’ambiguità della figura materna (o paterna) si estende anche al figlio che, di riflesso, non sa come considerarsi e si dice: “Chi sono io? Il bambino buono ed amato o il bambino cattivo ed odiato?”. Ora, ben inteso, amare ed odiare la stessa persona, cioè essere emotivamente ambivalenti, è una cosa normale ed universale: è il negare a tutti i costi l’ambivalenza che, per i motivi suddetti, può essere deleterio. Inoltre, ed anche questo è bene precisarlo, non sarà qualche episodio di “doppio messaggio” isolato a creare dei problemi psicologici nel figlio, ma uno stile comunicativo che ne è intriso, che è reiterato nel tempo e che rappresenta la modalità tipica e costante di interazione del genitori con il figlio e non l’eccezione.
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