Con l’arrivo in Italia della serie tv “Adolescence” nella quale il protagonista James Miller, “bullizzato” dai compagni di scuola che lo accusano di essere un “incel” è imputato di aver ucciso una sua coetanea, la quattordicenne Katie Leonard, e a seguito dei recenti casi di femminicidio avvenuti a Messina e a Roma, la parola “incel” è improvvisamente balzata al centro del dibattito pubblico, fino ad arrivare in parlamento, dove la deputata del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari, che si definisce “avvocata” e “femminista” ha depositato un’interrogazione parlamentare al ministro della giustizia Nordio per invitare il governo a intervenire per contrastare la “misoginia” incel.
Chi sono costoro?
Il termine deriva da un neologismo coniato negli anni Novanta negli Usa e significa “celibe involontario”: identifica un maschio che vorrebbe fare sesso con una donna, ma non riesce a trovare una partner.
Sino a qui, parrebbe un termine neutro che si limita a constatare una realtà di fatto.
In realtà, c’è qualcosa di molto più inquietante dietro.
Qualcuno scrive sui social che si tratta di quelli che una volta si chiamavano “sfigati” ma la realtà è ben diversa: siamo di fronte a quella che in sociologia si chiama “subcultura”, una subcultura della quale fanno parte soggetti che assegnano un significato sociale e politico alla propria frustrazione personale e sessuale, originariamente legata all’estrema destra anglosassone e che fa parte della cosiddetta “manosfera” assieme a gruppi, pagine e siti per i “diritti maschili” e a quelli dei “padri separati”.
La manosfera esprime argomentazioni che, in forma più presentabile, sono state raccolte anche da una parte della destra italiana e da quasi tutto l’ecosistema politico-mediatico del cosiddetto “dissenso” e della cosiddetta “controinformazione” che dopo aver svolto un ruolo utilissimo negli anni della “pandemia” mettendo in luce le contraddizioni brucianti e talora le follie delle politiche restrittive e degli obblighi vaccinali, oggi sembra essersi trasformata in una forma di influencing che mira a un target preciso, e lo fa proponendo ai suoi followers esattamente quello che vogliono sentirsi dire: ovvero, l’esatto contrario di quello che sostiene il “mainstream”.
E se andare contro il mainstream è anche andare contro la logica, affermando che se su 360 omicidi all’anno ci sono 100 femminicidi e 260 omicidi con vittime uomini (che sono in larga misura legati alla criminalità organizzata o meno, non a moventi personali o relazionali) poco importa a questo tipo di “contro-informazione”: l’importante è che resti alto il numero dei followers e tanto peggio per la logica.
Nata nelle pieghe del dark web, la sottocultura Incel negli anni recenti è uscita allo scoperto, prima negli Usa e poi anche in Europa e in Italia, sostenuta da una costellazione di siti, chat e forum nei quali si lamenta la “discriminazione al contrario” dei maschi e spesso si inneggia allo stupro (“I am glad at go raped” si legge in un forum Incel americano).
Gli Incel hanno elaborato una complessa neolingua, piena di neologismi anglicizzanti e caratterizzata dall’ossessione per la classificazione di ogni comportamento o atteggiamento nella sfera sessuale, e sostengono la tesi della “discriminazione dei maschi” sulla base di una teoria ben precisa.
Chi si riconosce nella sottocultura Incel ritiene che la stagione della liberazione sessuale e del femminismo abbia determinato un fenomeno che loro definiscono “ipergamia femminile” ovvero la possibilità (sostenuta ovviamente dal “sistema” il classico significante al quale ognuno dà il senso che vuole, un termine buono per tutte le stagioni”) di accoppiarsi con una quota selezionata di maschi privilegiati per aspetto estetico e condizione sociale ed economica, condannando tutti gli altri all’infelicità e alla frustrazione.
In questi giorni ha circolato moltissimo uno screenshot, diffuso dal quotidiano toscano Il Tirreno, nel quale una delle ragazze uccise nei giorni scorsi era definita una “ipergamatrice” che non “ci mancherà”.
Per gli appartenenti a queste subculture, quello dei maschi ad accoppiarsi è un “diritto naturale” che la società avrebbe manipolato nella stagione della liberazione sessuale, determinando di fatto una “discriminazione rovesciata”: al posto di quella storica che riguardava le donne, oggi la discriminazione colpirebbe i maschi in generale, soprattutto quelli considerati “brutti” o socialmente svantaggiati.
Il manifesto degli Incel è il film del 2016 “The Red Pill Theory” di Cassey Jaey, il titolo è ispirato alla “pillola rossa” del film Matrix.
Nella narrazione Incel, questa regista sarebbe una femminista “convertita” che, nel mentre realizzava un film sulla cosiddetta “cultura dello stupro” si sarebbe accorta che i veri discriminati da una società basata sull’ipergamia femminile sono i maschi e avrebbe quindi documentato le loro sofferenze.
La tesi è sostenuta da argomenti paradossali, non falsi, ma forzati per dimostrare la propria tesi secondo il noto fenomeno del framing effect o effetto cornice.
Ad esempio, il fatto che la maggioranza delle vittime degli incidenti sul lavoro o delle vittime di guerra siano maschi dimostrerebbe la tesi della discriminazione degli stessi.
Appellarsi a dati reali per darne interpretazioni improbabili: un meccanismo tipico della post-verità.
I morti sul lavoro sono in maggioranza maschi, non è falso, ma è determinato dal fatto che mediamente i lavori maggiormente a rischio di incidenti mortali, come quelli edili, sono svolti da uomini.
“Emergenza femminicidi. Spiegatemi dov’è perché non la vedo” afferma in un video del 4 aprile, subito dopo gli omicidi di Ilaria Sula, la ragazza di Terni ritrovata chiusa in una valigia sui Monti Prenestini e uccisa dall’ex fidanzato, e di Sara Campanella, la ragazza di Messina uccisa per strada da un compagno di università che era da tempo ossessionato da lei, il “giornalista indipendente” (la cui popolarità è esplosa a dismisura dopo la “pandemia”) Matteo Gracis.
Con il classico tono da debunker che snocciola numeri e dati, Gracis afferma che si tratta di “analizzare i fatti” e che negli ultimi cinque anni c’è stato un femminicidio ogni tre giorni, e nello stesso periodo ci sono tre molti sul lavoro al giorno, tutti uomini” dei quali “non frega un cazzo a nessuno”.
I freddi numeri dimostrerebbero che in realtà “la vera emergenza” è quella dei morti sul lavoro, e che il discorso pubblico sui femminicidi e la necessità di affrontare questo tema anche dal punto di vista culturale sarebbe una “distrazione di massa” dalla vera “emergenza” ovvero quella degli uomini morti sul lavoro.
Un esponente di spicco della “contro-informazione” che si autodefinisce “giornalista indipendente” usa quindi un’argomentazione capziosa e fallace, che è una delle più diffuse nel variegato universo della “manosfera” e del vittimismo maschile. La differenza è chiarissima: i morti sul lavoro sono vittime di incidenti o di omicidi colposi, le donne uccise da mariti, compagni, fidanzati, amanti o pretendenti respinti vittime di omicidi volontari spesso “premeditati”.
In un video di alcuni giorni dopo Gracis propone il confronto con una donna attiva nel contrasto alla violenza di genere, durante il quale parla di “omicidi passionali” (un termine molto ambiguo, oggi in disuso perché in qualche modo sembra considerare meno grave un delitto mosso da “passione”) e ribadisce le sue tesi, affermando che intendeva parlare del meccanismo con il quale i media costruiscono le emergenze.
Un giornalista sicuramente conosce il meccanismo del framing effect, per cui l’impressione è che usi questa argomentazione per venire incontro al punto di vista dei propri followers, in buona parte “dissidenti” acquisiti tra il 2020 e il 2021 che diffidano di default di qualsiasi contenuto o lettura della realtà proposta dal “mainstream”.
La tesi che si parli delle donne e delle ragazze uccise (e della cronaca nera in generale) per operare una distrazione di massa dai “veri problemi” (di solito dalle guerre e dalla politica internazionale) è una delle argomentazioni più diffuse nell’ecosistema mediatico della “contro-informazione”.
Una caratteristica dei media italiani è quella della “passione criminale” e del larghissimo spazio dedicato a omicidi, stupri, rapimenti e reati contro la persona.
Più il delitto è “efferato” e magari con retroscena legati alla sessualità, più alto è l’audience. Basta dare un’occhiata a un quotidiano o a un telegiornale francese per accorgersi di questo aspetto.
Una delle bizzarre teorie circolate sui social media nel 2023, dopo l’omicidio di Giulia Cecchetin è che il delitto di Vigonovo sia stato usato come “arma di distrazione di massa” per non parlare del conflitto israeliano-palestinese e dell’assedio di Gaza, tesi fatta propria da personaggi con un grande seguito nel mondo del cosiddetto “dissenso” come Andrea Tosatto e Matt Martini.
Una tesi che parte da una presupposizione sbagliata, che i media agiscano sempre e solo con logiche politiche, quando i canali televisivi commerciali e i social media agiscono secondo logiche di mercato.
Il popolo è più interessato alle storie della provincia italiana, alle Avetrana, ai Novi Ligure, ai Garlasco, ai Vigonovo di turno, con protagonisti e protagoniste con i quali in fondo si può identificare, e che magari potremmo anche avere conosciuto di persona, che a un conflitto del quale ha solo un’esperienza mediatica.
Il successo di canali come Elisa True Crime è significativo.
A un certo punto dopo il caso Cecchetin si arrivò a dire che non c’era stato nessun omicidio, non c’erano vittime e assassini, si trattava di una montatura mediatica per imporre l’educazione sentimentale. Come riporta la pagina satirica Ok Incel, questa tesi inizia a girare sui social anche a proposito del delitto di Sara Campanella.
Un’altra pagina molto seguita dal “dissenso” Weltanschauung Italia, sostiene che esiste una correlazione tra femminicidi ed emancipazione, benessere e libertà sessuale, sarebbero figli delle relazioni contemporanee segnate dalla “rapidità, dalla fragilità, dalla mercificazione affettiva” e che “l’uomo che uccide non è un patriarca dominante. Spesso è un relitto umano, solo, disperato, infantilizzato, emotivamente disarmato” e che “questo non giustifica nulla, ma spiega”.
Weltanschauung Italia riprende quindi un altro tema caratteristico della “manosfera” sempre usando argomentazioni capziose.
I femminicidi sarebbero la causa della scomparsa del “vero patriarcato” e dei “veri uomini” pronti a proteggere e unici abilitati a prendere l’iniziativa, a decidere quando e come chiudere iniziare o chiudere una relazione, nel gioco dei ruoli tradizionali.
La crisi di questa società con ruoli fissi, l’emancipazione sociale, lavorativa, sessuale, con le donne e le ragazze che prendono l’iniziativa, che decidono quando chiudere una storia d’amore, che decidono senza condizionamenti chi frequentare e chi no, avrebbe destabilizzato quindi i maschi contemporanei sino a farli reagire in maniera violenta, a volte fino all’omicidio.
Sui social a ogni femminicidio circolano meme secondo i quali i più noti autori di femminicidi degli ultimi anni, da Turetta a Impagnatiello, sarebbero vittime della “femminilizzazione” della società, maschi deboli, de-virilizzati, confusi. Le argomentazioni fondate sul framing effect, non sono false, ma forzate.
Gli uomini e i ragazzi autori di questi delitti non appaiono in effetti uomini sicuri, centrati e dominanti, ma chi sostiene che i femminicidi sono un prodotto della società liquida e fluida della post-modernità “femminilizzata” omette di dire che le reazioni violente sono con tutta probabilità figlie del contrasto tra un modello patriarcale interiorizzato (non dimentichiamo che l’Italia è stata un “patriarcato” giuridico fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975) e una realtà nella quale le donne sono sempre più libere ed emancipate.
Uno delle altre pagine di riferimento della manosfera italiana è “Diritti Maschili”.
Diritti Maschili sostiene che le donne scelgono il compagno solo in base all’aspetto estetico e non in base alle sue “qualità interiori” e che la società, o il sistema, sottovalutino l’estetica maschile considerando “brutti” anche uomini che non lo sono (e presentano per dimostrarlo una galleria fotografica di attori e personaggi pubblici) ed esalti invece l’aspetto estetico delle donne anche se “brutte” secondo presunti canoni maschili (l’esempio portato è quello delle donne che oggi si definiscono curvy).
Se è vero che ogni società produce dei canoni standard di bellezza estetica che non sono naturali, ma socialmente e storicamente determinati (basti confrontare l’aspetto opulento, oggi diremmo appunto curvy, delle modelle dei quadri rinascimentali e quello magro e slanciato di quelle attuali, entrambi espressione dei canoni di bellezza dominanti) è altrettanto vero che i meccanismi dell’attrazione sessuale e delle relazioni interpersonali sono di fatto imponderabili, solo minimamente influenzati da ragioni esterne.
Leggendo tra le righe dei post di Diritti Maschili, leggiamo anche che le donne per “provare nuove emozioni” sceglierebbero partner dalla personalità “poco sana” ma “con determinate caratteristiche fisiche” rispetto ai maschi “normodotati” da ogni punto di vista esponendosi a rischi di violenze psichiche, sessuali e fisiche, e che la legge 194 sull’aborto assegnando eccessiva libertà di scelta alla donna violerebbe i “diritti riproduttivi” del maschio. Una posizione antiabortista che non ha nulla a che fare con quella dei “movimenti per la vita” religiosi, ma che ricorda piuttosto il “reato contro la stirpe” istituito dal Codice Rocco durante il fascismo.
Anche Diritti Maschili sembra avere un feeling particolare con il “dissenso”, il 22 marzo ha citato una frase di Marco Rizzo, ex segretario del Pc e oggi leader assieme a Francesco Toscano di Democrazia Sovrana e Popolare. “Mio padre e mia madre sono dell’inizio del secolo scorso. Si parla del “Patriarcato” ma mio padre lavorava 8 ore in Fiat e poi faceva 5 ore di lavoro nero in una carrozzeria. Mia madre ogni 2 anni faceva verniciare il soffitto e cambiare la tappezzeria. Dov’è il Patriarcato? E io oggi, per la mia modesta esperienza, sono messo ancora peggio”.
Marco Rizzo, che ha scoperto solo di recente questi temi dimenticando il comunismo delle origini, sostiene quindi un’altra tesi caratteristica della manosfera: che il Patriarcato non sia mai esistito, che gli uomini siano sempre stati “i veri discriminati” costretti dalle donne che li aspettavano comodamente a casa a doppi e tripli lavori per mantenerle.
Ci sono poi degli uomini che sul “debunking” dell’emergenza femminicidi hanno costruito un vero e proprio lavoro.
È il caso del fondatore della pagina IG “Homo sapiens” che, portando come Gracis a suo sostegno numeri e dati, afferma che i media si adoperano per creare una vera e propria psicosi sulla violenza di genere. Peccato che non ne spieghi i motivi.
L’infosfera mediatica di oggi è fondata sul sensazionalismo televisivo e sul clickbait, su qualsiasi argomento, quello dei femminicidi non fa eccezione, ma non c’è nessun segnale serio che si voglia creare una psicosi in maniera intenzionale su questo tema, anche perché non si saprebbe rispondere alla domanda fondamentale “cui prodest”?
Altri siti italiani che fanno riferimento alla manosfera e alla subcultura incel sono Il Redpillatore ispirato esplicitamente alla teoria della Matrix, Il Forum dei Brutti e Un Brutto Forum.
Il Redpillatore è particolarmente interessante perché si presenta dal punto di vista grafico come un sito serio, con ambizioni di analisi antropologica e sociale.
Il punto nodale di questa sottocultura è quello della politicizzazione del rancore e la frustrazione personale.
È possibile cogliere un nesso tra la manosfera e la narrazione antisistema e rossobruna, che rappresenta un buon tempo andato nel quale ognuno stava al proprio posto, i maschi e le femmine si comportavano esattamente secondo gli stereotipi di genere, nessuno era “fluido”, erano i maschi a scegliersi le partners secondo quello che in quest’ottica è considerato un modello “naturale” di società.
L’insistenza dell’universo Incel nel sottolineare i danni del “benessere” non sorprende più di tanto: effettivamente, il fatto di non provvedere quotidianamente alle necessità di sopravvivenza porta le persone a scegliere, e quindi anche a “discriminare”. La discriminazione è da condannare se è operata dallo stato o da altre istituzioni pubbliche o private, ma è invece assolutamente normale nei rapporti fra individui, che siano amicizie, rapporti di lavoro o relazioni sessuali, se una persona è libera può “discriminare” con chi accompagnarsi, collaborare, accoppiarsi secondo criteri che possono essere certo influenzati dalla società nella quale vive, ma che restano in ogni caso imponderabili come ogni scelta individuale.
L’universo Incel e la manosfera proiettano sul “sistema” la propria inadeguatezza personale nelle relazioni sentimentali e sessuali, trasformandola in una surreale battaglia politica per i diritti del maschio.
I maschi che si riconoscono in queste sottoculture attaccano la cosiddetta ipergamia femminile perché nostalgici dell’ipergamia maschile delle società tradizionali e patriarcali, e rivendicano il diritto di essere loro a “discriminare” le partner sessuali e non viceversa.
La subcultura Incel è figlia anche della cosiddetta cultura woke o delle identity politics e del suo rovesciamento a destra, studiato da numerosi studiosi americani come Arlie Hochschild e Mark Lilla, perché usa la retorica vittimaria per proiettare sulla società e la politica i limiti relazionali e sociali vera causa della loro infelicità.
Nel 2023, con l’arrivo sulla scena politica di Vannacci e del suo “mondo al contrario” nel quale il “vero discriminato” sarebbe il maschio bianco eterosessuale, il rovesciamento a destra delle politiche dell’identità è sbarcato anche in Italia.
Per concludere, negli ultimi anni sono cresciuti in maniera esponenziale i seguaci delle teorie della “manosfera” che non si limitano a quelle estreme degli Incel o del Redpillatore, ma nella quale esiste anche una vastissima zona grigia di movimenti per i “diritti maschili” che affermano di essere contro la violenza e che però “la violenza non ha genere” e di movimenti dei “padri separati” che spesso tendono a mettere sullo stesso piano la violenza omicida che annienta per sempre la vita di una donna o di una ragazza con la violenza psicologica od economica esercitata nel corso delle cause di separazione, che indubbiamente esiste, ma che non è come ovvio egualmente grave perché reversibile.
Questa crescita ha reso gli stessi un target politico, televisivo e social “interessante” per movimenti politici nati e consolidati tra il 2020 e 2021, e per “giornalisti indipendenti” e influencer la cui visibilità mediatica è esplosa sempre negli anni delle restrizioni.
Privati del principale motivo dal quale “dissentire” ovvero i lockdown e gli obblighi vaccinali, consapevoli dello scarso interesse per la geopolitica del cittadino e lettore medio, sembrano aver puntato in maniera decisa su un target, sembrano aver ripiegato in maniera massiccia sul “debunking dei femminicidi” negando con ragionamenti capziosi un problema reale e che ha una chiarissima matrice culturale legata ai retaggi psicosociali del patriarcato, scomparso dalle leggi, ma non dalla mentalità di molti uomini, e anche di molte donne.
L’impressione è che la “contro-informazione” di oggi non sia né una coraggiosa sfida al “sistema” né qualcosa di costruito dal sistema per infiltrare il “dissenso” ma sia piuttosto una forma di influencing targettizzato, non diverso dal fashion blogging o dal food blogging, che studia i bisogni del proprio target di followers sui social per poi riversargli esattamente post, video, articoli che confermano le loro tesi e i loro pregiudizi.
Tutto legittimo in linea di massima, e tuttavia “inseguire” sul loro terreno di argomentazioni capziose le subculture della “manosfera” e del vittimismo maschile, invece che cercare di costruire una società nella quale non siano considerati numeri irrilevanti 100 donne o ragazze uccise da mariti, fidanzati, compagni, amanti e pretendenti respinti ogni anno, delinea una relazione pericolosa tra i due mondi, tra dissenso e manosfera, ed è significativo di una società nella quale si è persa ogni distinzione tra reale e virtuale, nella quale Ilaria Sula e Sara Campanella sembrano personaggi come la Kate Leonard di Adolescence, e anche la “controinformazione” è pronta a tutto pur di restare al centro della circo mediatico che a parole tanto critica.
di Andrea Macciò
Dal blog “Critica scientifica” di Enzo Pennetta, www.enzopennetta.it, a firma “Emanuela” The Red Pillo: il film che le femministe non vogliono farti vedere, 2017
Boudon R (2009), Effect pervers et order Social, Puf, Paris
Lorusso E. (2018) Il terrorismo degli Incel, i celibi forzati, www.panorama.it
Van der Veer R (2020) Analysing personals account of perpetrators incels violence do they want and who to whey target? www.icct.nl
Pagina Fb: Diritti Maschili
Pagina Fb. Matteo Gracis
Pagina Fb: Ok Incel
Pagina Fb: Weltanschauung Italia
Pagina IG: Homo sapiens