Come tutti gli anni, si è svolto, al Lingotto di Torino, il Salone Internazionale del Libro, dal 18 al 22 maggio.
di Antonio CALICCHIO
Malgrado i pronostici disastrosi, tuttavia si è registrata, in occasione del Salone Internazionale del Libro, di Torino, una “insolita” vivacità, tanto più fra i giovani, che partecipavano alle conferenze, acquistavano libri, ecc. E prima che la politica rivendichi anche il merito di aver risuscitato il libro, al di là delle polemiche e degli episodi che, nel corso della manifestazione, si sono verificati, va sottolineato, al riguardo, un aspetto fondamentale, ovverosia che il libro, in sé e per sé, è “a suo modo, una invenzione perfetta”, scriveva Montanelli. Quando la lettura è un piacere, nessun computer può sostituire il foglio stampato. Diverso è il discorso delle opere di consultazione: io, sebbene sia fedele ai dizionari e alle enciclopedie, tuttavia mi rendo conto dei benefici che la ricerca elettronica può garantire.
Ed allora, qual è il problema?
Il problema è che si scrivono troppi libri, spesso brutti. Il numero degli autori ha oltrepassato, di gran lunga, quello dei lettori. I politici, impancandosi, non di rado, a Giulio Cesare o a Napoleone Bonaparte, vogliono lasciare ai posteri le proprie memorie o i propri romanzi. Quando si pubblica un libro, le persone formulano sempre le stesse domande: “Quando lo presenta? Dove lo presenta?”. Domande che sorgono o da un senso di cortesia o dalla volontà di liberarsi dall’impegno di leggere o, peggio, dall’idea di considerare la circostanza di presentazione del libro come occasione per fare altro, e cioè apparire, mettere in mostra il proprio “io”, corteggiare, ecc. Per questa ragione elementare, i festival dei libri hanno una sorte assai migliore rispetto ai libri stessi!
Ed ancora. Non si comprende quale demone spinga taluni soggetti a pubblicare l’impubblicabile e a, perfino, umiliarsi perché qualcuno lo legga. Certamente, queste persone non rendono un buon servigio al libro: chi compra un orrore diviene guardingo.
Oltre all’inflazione libraria, esistono anche altri problemi: la frenesia delle nostre vite, la crisi, l’invadenza della televisione e del tablet, le difficoltà della distribuzione, la inattendibilità di numerose recensioni.
Ma non bisogna disperare: i classici scrivevano in contesti in cui più del novanta per cento degli individui erano analfabeti; oggi, “l’analfabetismo ha un nick name, cioè prosegue sotto falso nome. Si è fatto hi-tech … In fondo, l’app è una zappa senza testa, né coda. Nell’era digitale, il dito capisce più del portatore”, afferma Veneziani.
Comunque, scoprire un buon libro, in tutta questa babele, dovrebbe, invece, rappresentare, per tutti, fonte di enorme soddisfazione.