Intervista a Tommasina Giuliasi
“Artivismo” è un neologismo che indica le azioni artistiche che tentano di sollecitare e influenzare le agende politiche attraverso l’arte. Una pratica che è nata nel Novecento e che si è manifestata attraverso l’arte urbana e la street art: tra gli artisti più noti che hanno utilizzato questo linguaggio, possiamo citare Al Weiwei e Bansky. L’artivismo si ispira anche all’approccio creativo e dissacrante di alcuni movimenti degli anni Settanta e negli ultimi anni è stato uno dei linguaggi prediletti dai movimenti ambientalisti come Extinction Rebellion e Ultima Generazione.
Nell’arte contemporanea alcuni artisti come Michelangelo Pistoletto e Christo hanno focalizzato la loro attenzione sui monumenti che popolano le nostre città, “giganti dimenticati” a volte dal grande valore artistico che spesso ignoriamo, con azioni e installazione che si proponevano di “metterli in luce”.
Da questo humus artistico e culturale, e dal tragico momento storico che stiamo vivendo, con una chiara tendenza al riarmo dell’Europa e dell’Occidente e del linguaggio bellico, e con la catastrofe umanitaria che si è venuta a creare negli ultimi due anni in Palestina, nasce il progetto del collettivo “Nuda Vista” (elegante citazione della “Nuda Vita” di Giorgio Agamben) composto da Giulia Tommasi alias “Tommasina Giuliasi” e Jacopo della Rocca, “Ho visto una statua piangere”
Una performance di arte visiva che ha già toccato Torino, Milano, Firenze e Roma, città nelle quali hanno “pianto” le statue di Marco Aurelio, Costantino, Scandeberg, David e a Torino dell’anonimo “soldato sardo” di Piazza Castello.
La statua che lacrima per il dolore del mondo potrebbe evocare anche un’iconografia diffusa nella cultura cattolica, ancora molto diffusa a livello di inconscio socioculturale anche in un’Italia ormai secolarizzata.
Per conoscere meglio questo progetto abbiamo intervistato l’artista Giulia Tommasi alias “Tommasina Giuliasi”
Quando è nata la collaborazione tra te e Jacopo della Rocca, che ha portato alla nascita del Collettivo “Nuda Vista”?
Io e Jacopo abbiamo cominciato a collaborare in occasione di alcune manifestazioni artistiche indipendenti a Torino. Siamo entrambe persone con una forte sensibilità politica e abbiamo iniziato a ragionare su come poter utilizzare in tal senso lo strumento artistico, che abbiamo percepito come silente, incapace di reagire a questo tempo.
Il 30 settembre ci è venuta l’idea di una performance di arte visiva che consistesse nel proiettare immagine e flussi di luce sulle superfici dei monumenti, generando l’effetto visivo di lacrime che solcano questi volti e corpi di pietra, per cercare di creare un simbolo.
Avete una formazione artistica specifica o siete autodidatti?
Di formazione io sono giurista, laureata in giurisprudenza. Dal punto di vista artistico ho una formazione performativa, sono diplomata in un’accademia di teatro, di arte drammatica. Jacopo ha una laurea magistrale in architettura e una specializzazione in beni culturali
“Ho visto una statua piangere” è la vostra prima azione performativa?
A livello performativo sì, è la prima volta che collaboriamo
Negli ultimi anni è stato il movimento “Ultima Generazione” a compiere azioni simboliche con il coinvolgimento di opere d’arte “classiche” con la volontà di riassegnare all’arte un valore di comunicazione sociale. Vi siete ispirati a queste azioni?
Non posso dire che ci siamo ispirati direttamente ai gesti delle attiviste del movimento Ultima Generazione, anche se siamo artisti contemporanei, e a tutto quanto c’è di contemporaneo guardiamo con interesse, assorbiamo ciò che è nell’aria, non posso escludere che ci abbia influenzato in maniera inconscia.
Ci sono artisti contemporanei che hanno ispirato il concept e l’estetica della vostra performance?
Le nostre performances sono più vicine all’opera di Pistoletto, che voleva andare ad evidenziare la presenza dei monumenti all’interno dello spazio pubblico.
I monumenti sono giganti dimenticati, ce ne siamo accorti durante la ricerca delle statue sulle quali attuare la nostra operazione di mappatura e performance. Non riuscivamo a ricordare che cosa ci fosse, avevamo a fuoco molte statue sbagliate. A Torino, il “monumento al soldato sardo sul quale avevamo proiettato per primo era considerato da molte persone un monumento a Garibaldi. Per questo la nostra azione mira anche a ridare visibilità a questi giganti dimenticati che popolano le città e lo spazio pubblico.
L’iniziativa “Ho visto una statua piangere” è solo legata alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla questione palestinese o intendere sollecitare una riflessione più generale?
La nostra riflessione vuole essere più ampia, nel comunicato stampa non c’è un focus, c’è qualcosa che risuona come dolore dell’umanità tutta, siamo perfettamente coscienti che ci sono tante questioni delle quali non parliamo, solo perché non ci stanno martellando con la cronaca, come sta succedendo adesso, solo adesso, con la questione palestinese.
Tutte le volte che abbiamo creato questa installazione visiva nelle piazze ci siamo sempre sentiti legati ai presidi e ai cortei di queste giornate, per questo abbiamo sempre proiettato oltre alle lacrime anche la bandiera della Palestina sul monumento o sul basamento del monumento. Nel corso di una delle performance a Roma lo abbiamo fatto direttamente sulla Piramide Cestia. Ha pianto direttamente la bandiera palestinese
Oltre alla Piramide, su quali statue avere proiettato?
A Roma sulla statua di Giordano Bruno e sulla statua di Marco Aurelio al Campidoglio e sulla statua di Scandeberg in Piazzale Albania, a Torino sul monumento al soldato sardo in Piazza Castello, a Firenze sul David di Piazza della Signoria e a Milano sul monumento a Costantino alle Colonne di San Lorenzo.
La vostra operazione ha un significato sia politico-sociale che artistico?
La nostra è un’operazione con un doppio significato, politico e sociale, ma anche artistico e performativo, che mette in dialogo il classico con il contemporaneo e “mette in luce” anche le opere d’arte come i monumenti che incontriamo nella nostra quotidianità, trasformando l’inerzia del monumento in un atto sia politico che poetico.
Noi abbiamo deciso di proiettare lacrime rosse, le lacrime di sangue, che vogliono rappresentare come quanto accade nel mondo sia tale da commuovere anche il patrimonio statuario, un appello alla pace e alla giustizia sociale rivolto alla cittadinanza intera e alla classe politica. Abbiamo deciso di unire al pianto delle statue la bandiera della Palestina per chiarire da dove arrivano le lacrime in questo momento.





























































