Quelle ossa sono di Emanuela Orlandi? Il fratello Pietro ci aveva detto di attendersi sorprese

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2009

Ci eravamo occupati di questo mistero alla fine del mese di giugno. Il nostro valido Giovanni Zucconi aveva infatti intervistato Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la quindicenne che il 22 giugno 1983 sparì dalle strade di Roma. Un racconto denso di dolore in cui il fratello raccontava il calvario tra depistaggi, omissioni, complicità e politica. E, soprattutto, annunciava di non volersi arrendere. Ebbene, è di queste ore una notizia che potrebbe aprire uno squarcio di luce su 35 anni di ombre.Sono in corso in Vaticano accertamenti, dopo che alcune ossa sono state trovate ieri nel palazzo della Nunziatura apostolica di via Po a Roma. Allo stato attuale non è ancora certo a che epoca risalgano i resti e se riguardino una sola persona. In passato si sarebbero verificati altri episodi analoghi. Si stanno eseguendo comparazioni, concentrate in particolare sul cranio e sui denti, per verificare se i resti rinvenuti si ricolleghino al caso di Emanuela Orlandi. Le indagini si svolgono in collaborazione con la magistratura italiana. La procura di Roma, intanto, procede per omicidio in relazione al ritrovamento di queste ossa in un edificio di proprietà del Vaticano. L’autorità giudiziaria italiana ha disposto accertamenti tecnici per cercare di individuare a chi appartengano questi resti. Il lavoro degli inquirenti punta in particolare a verificare se le ossa possano essere compatibili con il Dna di Emanuela Orlandi ma anche di Mirella Gregori, le due minorenni scomparse a Roma nel 1983. Sulla vicenda è arrivata anche la nota della Santa Sede

“Durante alcuni lavori di ristrutturazione di un locale annesso alla Nunziatura apostolica in Italia, sito in Roma in via Po 27, sono stati rinvenuti alcuni frammenti ossei umani. Il Corpo della Gendarmeria è prontamente intervenuto sul posto informando i Superiori della Santa Sede che hanno immediatamente informato le autorità italiane per le opportune indagini e la necessaria collaborazione nella vicenda. Allo stato attuale, il procuratore capo di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, ha delegato la polizia scientifica e la squadra mobile della questura di Roma al fine di stabilirne l’età, il sesso e la datazione della morte”.

Ricordiamo che Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, che oggi avrebbe 50 anni, era figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, è scomparsa in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni, diventando uno dei casi più oscuri della storia italiana. La giovane frequentava una scuola di musica a piazza Santa Apollinare a Roma, in territorio Vaticano. Il 6 maggio 2016 la Cassazione aveva confermato l’archiviazione dell’inchiesta. A maggio del 1983 era scomparsa un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, studentessa. Mirella non conosceva Emanuela, né le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Anche questo caso resta avvolto nel mistero.

L’Ortica vi ripropone la versione integrale dell’intervista a Pietro Orlandi.

Era il 22 giugno 1983. Una ragazza quella sera non tornò a casa. Era Emanuela Orlandi, una ragazza di 15 anni, cittadina vaticana e figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. Inizialmente la sparizione fu vissuta come un normale caso di cronaca. Un’altra ragazza che, magari volontariamente, si era allontanata da casa. Dopo qualche giorno i muri di Roma furono tappezzati da centinaia di volantini che divennero poi tristemente famosi, quasi un’icona, per tutti quelli che vissero in quegli anni. Chi non li ricorda? Scritte bianche su fondo blu: “Emanuela Orlandi. Anni 15 – alta mt. 1.60 e’ scomparsa…”. Al centro campeggiava la sua foto con una fascia sulla fronte. Era l’inizio di uno dei casi più oscuri della Storia italiana e del Vaticano. Di volta in volta furono coinvolti lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, lo IOR, i servizi segreti di mezzo mondo, Solidarnosc, i Lupi Grigi, Alì Agca, la Camorra, la Mafia, il Banco Ambrosiano. Insomma, ogni intrigo nazionale o internazionale di quegli anni fu ricondotto alla sparizione della povera Emanuela. Ancora oggi, dopo 35 anni, la verità non la conosciamo. E considerando l’elenco che abbiamo fatto prima, non ci stupiamo se, due anni fa, il caso è stato definitivamente archiviato, dalla competente Procura di Roma, senza che ci sia stato nemmeno un processo. Anche se non c’è stato un processo, è arrivata una sentenza, autorevole e dolorosa, direttamente da Papa Francesco, subito dopo la sua elezione. In un incontro pubblico, per due volte, il Pontefice ha detto alla sua famiglia: “Emanuela sta in cielo”. Sono passati 35 anni, ma la famiglia di Emanuela Orlandi, in testa suo fratello Pietro, non si sono arresi, e continuano la loro battaglia per arrivare finalmente alla verità, e per avere giustizia. Abbiamo incontrato Pietro Orlandi il 22 giugno scorso. In occasione di un sit-in organizzato dalla famiglia, nella ricorrenza dei 35 anni dalla scomparsa, per non fare dimenticare il caso di Emanuela. C’erano persone venute da tutta Italia e qualcuna anche da fuori. C’erano televisioni e testate nazionali. E c’eravamo anche noi de L’Ortica, che siamo riusciti a farci concedere una lunga intervista da Pietro Orlandi.

Sono passati i 35 anni dal sequestro di Emanuela. Sono tanti per poter cercare ancora una verità. Lei che cosa spera ancora continuando la sua battaglia?

“Lo dimostra quello che è successo ieri. L’ultimo tassello che si è aggiunto alla vicenda di Emanuela. Noi eravamo sempre stati convinti che la prima telefonata fosse arrivata, dai rapitori, il 5 luglio, dopo l’appello del Papa. Invece abbiamo scoperto che è arrivata la sera stessa. Quando noi familiari ancora non sapevamo nulla di quello che era successo. Io ero tornato a casa verso le 20.30 e ancora non immaginavamo nulla. Ieri si è saputo che tra le 20.00 e le 21.00 è arrivata una telefonata in Vaticano, con la quale annunciavano il rapimento di Emanuela, e cercavano un contatto con la Segreteria di Stato. Cosa che la Segreteria di Stato e il Vaticano non hanno mai detto. Per 35 anni. Questo le dimostra che, nonostante siano passati tanti anni, ci sono ancora delle cose che possono uscire.”

Quindi lei ancora spera che sia possibile arrivare alla verità?

“Io non è che ci spero. Io sono convinto che arriveremo alla verità.”

Lei pensa che ci sia veramente qualcuno che conosca tutta la verità? A parte gli esecutori materiali, naturalmente.

“Si. In Vaticano sicuramente. E quella frase che ha detto Papa Francesco, “Chi tace è complice”, vuole sicuramente dire che ce ne sono tantissimi di complici. Perché ci sono tantissime persone in Vaticano che sono a conoscenza della verità, anche se non sono stati materialmente responsabili. Però sono a conoscenza di quello che è accaduto. E questo dovrebbe fare capire che, se dopo 35 anni continuano a mantenere questa sorta di omertà, vuole dire che c’è qualcosa di grosso che non può essere rivelato.”

C’è una cosa che non mi è chiara. In Vaticano, negli ultimi anni, ci sono stati scandali che hanno minato alle fondamenta la credibilità della Chiesa. Scandali di ogni tipo, anche sessuali. Che cosa si potrebbe nascondere di più grave nel caso di Emanuela?

“Probabilmente la verità sulla storia di Emanuela è una sorta di Vaso di Pandora. Uscirebbero troppe cose legate tra di loro. Emanuela, secondo me, è un tassello in un sistema di ricatti. E sono convinto che, dopo 35 anni, ci sia ancora un ricatto in atto nei confronti di qualcuno rispetto a questa storia. Perché altrimenti non ci sarebbe questo comportamento. Né da parte del Vaticano, né da chi passivamente accetta questa volontà del Vaticano, cioè lo Stato Italiano e la Procura.”

Delle tante piste investigative che sono circolate in questi anni, lei quale pensa che sia la più probabile?

“E’ molto difficile rispondere. Le assicuro che io non ne ho mai scartata nessuna. Perché in ogni pista trovi qualcosa di vero.”

Ma sono una diversa dall’altra… Non sono un po’ troppe secondo lei? Come se fossero uno strumento di depistaggio.

“Alla fine le piste sono riconducibili a due. Quella che è stata seguita all’inizio, chiamiamola “politica”: quella di Alì Agca. Quella poteva essere un depistaggio, ma comunque era una pista “politica”, di “potere”. Poi c’è quella “economica”, che è quella che è stata seguita di più. Ma per me sono legate. Alla fine quella economica è legata ai soldi della Mafia, che tramite la Banda della Magliana sono entrati in Vaticano, e che Giovanni Paolo II ha utilizzato per finanziare Solidarnosc. Per una questione politica, quindi. Come vede, la pista “politica” si lega a quella “economica”. C’erano all’epoca, delle questioni tra il Vaticano e l’Unione Sovietica. Per questo ci sono tutte queste forme di ricatto. Evidentemente c’è un ricatto molto forte, che va al di là della scomparsa di una cittadina vaticana. E se hai in mano un ricatto estremamente forte, lo utilizzi per diverse cose.”

Chi può essere, secondo lei, che può avere in mano questo ricatto? Malavita? Politici? Stati stranieri?

“Se parliamo della questione economica, non credo tanto alla Banda della Magliana, che erano solo dei soldatini della Mafia, ma alla Mafia stessa. Quelli erano soldi della Mafia. E non potevano essere i 20 miliardi di cui si era parlato. Erano molti, ma molti di più. Se erano solo 20 miliardi, il Vaticano metteva le mani in tasca e finiva la storia. Se è una questione economica, riguarda molti soldi. E non si può sapere chi è coinvolto in questa situazione. Se tu hai un ricatto in mano che coinvolge non solo un alto rappresentante della Chiesa, ma che può coinvolgere anche un alto rappresentante dello Stato Italiano, o delle sue Istituzioni, tu tieni in mano dei fili importanti. Quindi se uscisse una storia su una situazione, di conseguenza ne uscirebbe qualcosa anche su un’altra, e su un’altra ancora. Io so che tu hai fatto quello, e che tu hai fatto quell’altro. C’è un grande intreccio. Non c’è, secondo me, un solo responsabile.”

Il Vaticano ha interesse a coprire la vicenda?

“La verità pesa sicuramente sull’immagine della Chiesa. Di questo ne sono certo. E lo Stato Italiano è sempre stato succube del Vaticano”

L’Italia non ha interessi particolari in questa vicenda?

“Questo non lo so. Le dico una cosa che è accaduta a pochi giorni della scomparsa. Lo disse un monsignore della Segreteria di Stato a mio padre, in confidenza, perché lo conosceva molto bene. Disse che tra lo Stato Italiano, a livello di presidenza del Consiglio, e lo Stato del Vaticano, ci fu un invito a non aprire una falla che difficilmente si sarebbe potuta chiudere. L’archiviazione della Procura di Roma, avvenuta due anni fa ed eseguita dal dottor Pignatone, dell’indagine sul rapimento di mia sorella, secondo me, non è altro che il proseguimento di quell’invito. Ma noi questa falla la vogliamo aprire. Perché noi vogliamo arrivare alla verità. E sapere cosa è successo veramente ad Emanuela.”

Parlando dell’attuale pontefice, la mia impressione e che lei abbia quasi sottovalutato quello che le ha detto, per ben due volte, Papa Francesco in un incontro: “Emanuela sta in cielo”.

“Io non l’ho sottovalutato. Anzi. Da quel momento ho fatto tantissime richieste per avere un incontro con il Papa per una spiegazione. Io in quel momento ho pensato: “Finalmente c’è una collaborazione”. C’è una volontà di fare emergere la verità, e a chiarire le cose. Lui mi ha detto quella frase pubblicamente, per strada, davanti la parrocchia di Sant’Anna. Un Papa non è un parroco. Se, pubblicamente, mi dice questa cosa, non può pensare che io dica “ah, grazie. Adesso sto tranquillo”. Da quel momento ho fatto tante richieste a lui, e al suo Segretario particolare, per avere un incontro, una spiegazione. Perché se tu, che non sei uno qualunque, ma sei un Papa, un capo di Stato, ad inchiesta aperta, quando non si sa ancora se Emanuela è morta o viva, mi dici che è morta, vuole dire che tu sai qualcosa che gli altri non sanno.”

Forse voleva semplicemente mandarvi un messaggio?

“Dopo questo episodio con Papa Francesco il muro si è alzato più di prima. E’ totalmente chiusa la questione.”

Secondo lei Papa Francesco conosce la verità?

“Si, tutti e tre i papi di questi 35 anni sanno cosa è veramente successo. Giovanni Paolo II è stato il primo a saperlo. Papa Francesco è naturalmente lontano da questa storia. Ma lui conosce bene la verità. Lui potrebbe finalmente dire che cosa è effettivamente successo. Se lui vuole veramente ricostruire una Chiesa nuova, come sicuramente vuole, deve ricostruirla su un terreno solido. Un terreno basato sulla verità e non sul fango. Io faccio appello a lui affinché la verità su Emanuela sia finalmente resa pubblica”.

Una domanda delicata. Perché nonostante lei stia portando avanti una battaglia che ci si aspetterebbe da un qualsiasi fratello, è accusato di cercare una visibilità da questa vicenda?

“A me dispiace. Purtroppo qualche giornalista lo dice. Sono quelle cose che tu devi mettere in conto quando intraprendi una battaglia. Si sono inventati di tutto. Che io prendo i soldi da “Chi l’ha visto”. Non è vero. Neanche li avrei accettati se me li avessero offerti. Quando ho scritto il mio libro su Emanuela, io non ho fatto neanche un euro. Le assicuro che io preferirei passare un’esistenza più serena e tranquilla. Ma è una cosa che non riesco a fare. Perché non riesco ad accettare questa situazione. Al di là di Emanuela, che è diventata la voce di tante famiglie di scomparsi. Ci sono tante famiglie che non hanno visibilità, che non hanno voce. Ed è la situazione peggiore. Come vede, io ho la possibilità di fare sentire la nostra voce. Invece tante famiglie vivono nel totale silenzio. Ed è peggio. Molto peggio.”

Un ricordo che la lega particolarmente a Emanuela, e che più di tutti le dà la forza di continuare nella battaglia?

“Tutti. Tutti quanti. Quando uno vive questa situazione, perdi in qualche modo la linearità del tempo. Ma il ricordo più forte è quello dell’ultimo giorno, quando è uscita dalla porta di casa per andare a scuola e io non l’ho accompagnata perché avevo da fare. E’ l’immagine più forte che mi resta. Mi domando sempre: “… e se l’avessi accompagnata?”. Questo è un ricordo che mi rimarrà sempre.”

Il momento più brutto, a parte il giorno del rapimento?

“Forse quando siamo andati in Lussemburgo, convinti di andarla a prendere in un convento. Eravamo totalmente convinti che l’avremmo trovata li. Io avevo preso anche un regalo per lei. Da alcune informazioni avevamo la certezza che Emanuela si trovasse li. Anche il capo della Criminalpol aveva detto ai giornalisti “preparatevi che torniamo con Emanuela”. Nel momento in cui mettemmo mia madre davanti a questa ragazza e non era Emanuela, per una frazione di secondo, è stato peggio dei primi giorni. Nei primi giorni, fino alla consapevolezza del rapimento, il dolore è cresciuto gradualmente. Li si è concentrato in una frazione di secondo. E’ stato bruttissimo. In un attimo la gioia più grande si è trasformata in una grande disperazione”.

 

Emanuela Orlandi, un mistero lungo 35 anni