Lo sfogo di Bruna Di Berardino, figlia della vittima di Cerveteri. L’anziano 82enne rimase coinvolto in un incendio nella Rsa di Santa Marinella assieme ad un altro paziente.
«Quindici anni di sofferenze per la morte di papà e di udienze in tribunale per arrivare poi alla prescrizione». Non si dà pace Bruna Di Berardino, residente cerveterana. Sette anni per la sentenza di primo grado. Ce ne sono voluti altrettanti solo per arrivare all’Appello a Roma, con i tempi però che si sono allungati oltre il dovuto. Ma è necessario riavvolgere il nastro a quel 30 gennaio 2010. Siamo a Santa Marinella e due uomini ricoverati nella residenza per Anziani “Villa Chiara” perdono la vita in un incendio scoppiato nella struttura. Uno aveva 91 anni, Giovanni Marongiu, l’altro 82, ed era quello di Cerveteri, il signor Lamberto Di Berardino. Entrambi sono morti per asfissia e si era salvata l’infermiera che aveva tentato di portarli fuori rimanendo intossicata anche lei. Parte l’indagine dei carabinieri della compagnia di Civitavecchia per scoprire le cause e le successive dinamiche che hanno dato vita alle fiamme e alla morte delle due persone che si trovavano in una struttura. Le fiamme si sarebbero sviluppate per un corto circuito della presa elettrica di un climatizzatore. Sembra che i due anziani abbiano provato ad uscire dalla stanza ma hanno trovato la porta chiusa a chiave dall’esterno. «Nessuno è stato condannato alla fine – prosegue Bruna –. La giustizia andrebbe riformata, per fatti così gravi, per reati di omicidio, chi può poi vende i suoi beni e le attività e risolve tutto. Occorrerebbe, al contrario, il sequestro cautelativo».
La causa parte per omicidio colposo e per sequestro di persona. Insomma i capi di imputazione sono pesanti. La titolare della struttura (deceduta) e il collaboratore si ritrovano pure condannati in primo grado a oltre 3 anni di pena complessivamente. Nel frattempo trascorrono altri 8 anni per il secondo grado, un’eternità. E si arriva così alla prescrizione.
«Una vergogna – sentenzia Tonino Chiocca, legale della famiglia Di Berardino – che per una vicenda giudiziaria di omicidio colposo passino sette anni per una condanna e altri 8 per una sola udienza arrivando poi all’epilogo dell’altro giorno. Resta in piedi ora solo il discorso relativo al risarcimento ma si dovrà ripartire per calcolare tutto».
Nella sentenza di primo grado i magistrati avevano evidenziato come «durante la notte gli ospiti venissero chiusi a chiave in un manufatto esterno alla struttura principale, privo dei requisiti necessari di sicurezza, ed in particolare con impianto elettrico realizzato non secondo la “regola dell’arte” dal quale è scaturito l’innesco di un incendio da ricondurre al mancato serraggio dei cavi elettrici».
Una situazione che avrebbe «causato, così per colpa, il decesso dei due pazienti che a seguito dell’incendio si sono trovati nell’impossibilità di uscire dal manufatto». Marongiu e Di Berardino sarebbero morti per «edema polmonare acuto esposti a concentrazioni tossiche di monossido di carbonio».
Parola alla difesa. «Effettivamente 15 anni è un tempo assurdo per un cittadino – commenta l’avvocato della difesa Antonio Carlevaro – dal punto di vista professionale è logico sia andata bene ma i tempi dovrebbero essere ridotti per processi simili. Il mio assistito, ricordo, era stato comunque già assalto dal reato di sequestro di persona. Mentre la titolare della struttura era deceduta durante il processo».






























































