L’UOMO AL BIVIO: NEGLI ALGORITMI LA PERDITA DELL’UMANITÀ?

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IPERCONESSIONE DIGITALE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE RISCHIANO DI MINARE ALLE FONDAMENTA L’ESSENZA DELLA VITA UMANA. UN LIBRO DENUNCIA LA PERICOLOSA DERIVA TECNOCRATICA.

di Maurizio Martucci

Si intitola Una visione strategica del sistema paese, innovazione, sostenibilità e sicurezza, è l’ultimo libro edito da Franco Angeli in libreria nei prossimi giorni. Si tratta di una miscellanea di contributi di professionisti ed esperti in più settori, curata da Valerio De Luca e Pierpaolo Abet. Direttore Mediterranean Forum di Roma – CEO Universal Trust, Abet è anche autore del capitolo L’uomo al bivio tra algoritmi informatici e una perduta umanità?, un’attenta analisi dell’attuale condizione di iperconnessione digitale permanente che rischia di minare alle fondamenta l’essenza stessa della vita umana nella sovrapposizione con l’intelligenza artificiale. Su gentile concessione dell’autore Pierpaolo Abet, ecco un ampio stralcio del testo in cui viene denunciata la deriva tecnocratica.

«[…] Per poter comprendere quale sia l’attuale stato della moderna “evoluzione umana e sociale”, in piena era tecnologica digitale (ICT, Intelligenza Artificiale, IoT, Blockchain, Computer Quantici, ecc.), risulta necessario stabilire innanzitutto il punto di osservazione e il tipo di lente di ingrandimento che si intende utilizzare. A livello micro questa modernità appare caratterizzata da una tecnologia digitale estremamente pervasiva, dalla smaterializzazione della realtà, dall’annullamento delle distanze, ma evidenziando anche molte contraddizioni, infatti tutti gli aspetti del vivere quotidiano sono ormai condizionabili attraverso quel rapporto simbiotico instaurato con i dispositivi digitali di capillare diffusione come smartphone, tablet, computer, sensori, etc. che attraverso il loro uso costante, oltre a rappresentare fonti continue ed inesauribili di dati di profilazione, incidono inesorabilmente sulle modalità con cui si lavora, si interagisce, si costruiscono relazioni e addirittura su come si pensa. Il rischio, oggi non più solo teorico o fantascientifico, che corre la società moderna è proprio quello di chiudersi sempre di più in una forma di alienazione tecnologica determinata dagli algoritmi e dalle macchine, che svolgono un controllo sempre maggiore e totalizzante della vita dei singoli cittadini targhettizzati e della stessa collettività. […]

[…] Di fatto, accanto ai vantaggi dai più largamente apprezzati e auspicati, è concreto anche il rischio che l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale possano incidere nell’aumentare le disuguaglianze e nel generare perturbazioni economiche, disordini sociali e persino instabilità politica, soprattutto in aree non adeguatamente sviluppate o in quei paesi dove i mezzi di sussistenza di molte persone sono o cominciano ad essere precari, dove le istituzioni sociali possono essere fragili o dove, quale effetto della globalizzazione, si sono prodotte differenze culturali sempre più nette ed inassimilabili su di uno stesso territorio. Anche perché, utilizzando la considerazione di Henry Ford per cui c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti, è evidente che il processo di innovazione tecnologica che porta ad esempio, efficientamento produttivo come la riduzione dei costi con la robotica, crea nuove condizioni di mercato che escludono inevitabilmente chi non si adegua. Ma in generale una carenza di conoscenza e consapevolezza, nonché di capacità di innovazione e di utilizzo delle nuove tecnologie, può generare un divario culturale ed economico enorme, soprattutto se queste, al di là degli stati, sono patrimonio di una ristretta cerchia di colossi multinazionali che, ad esempio, con la capacità di gestire ed accumulare, con i Big Data, le enormi masse di dati disponibili sulla rete, sono in grado di anticipare i bisogni del mercato o addirittura di indurli. Inoltre si vengono a creare riflessi significativi e diseguaglianze anche nel mondo del lavoro nel quale figure professionali, che hanno sempre lavorato su processi ripetitivi non solo nell’industria ma anche nel terziario, oggi cominciano ad essere fuori mercato rispetto alle professioni emergenti molto focalizzate sull’utilizzo delle tecnologie informatiche estremamente avanzate ed accentuando sempre di più fenomeni di rapida obsolescenza professionale.

Quando il numero dei soggetti privati capaci di guidare una rivoluzione tecnologica con trend di investimento in ricerca e sviluppo sempre crescenti si restringe, aumentano inevitabilmente i rischi per i singoli cittadini e per la società. Se non è possibile evitare questa concentrazione privata oligarchica di potere tecnologico, occorre almeno operare per un’efficace regolamentazione che ne garantisca un utilizzo equo ed etico in un contesto in cui tra un già attuato capitalismo della sorveglianza e una progressiva algocrazia, i moderni algoritmi informatici stanno avendo un ruolo ed un impatto sempre più rilevanti. Proprio sulla base di questa considerazione bisognerebbe ricordare che l’innovazione, come processo di cambiamento, è un elemento essenziale di ogni società e per questo non dovrebbe limitarsi al solo mondo degli affari producendo nuovi algoritmi o nuove tecnologie, ma dovrebbe generare continuamente anche nuovi modelli di conoscenza per un approccio responsabile del cambiamento. I driver di una possibile innovazione sostenibile dovrebbero quindi tener conto del fatto che un adeguato e diffuso livello di conoscenza, di consapevolezza della tecnologia e della necessità di una sua regolamentazione etica ed equa, è strettamente correlabile ad una necessaria posizione di centralità dell’uomo, nonché funzionale al raggiungimento di un possibile equilibrio sociale e ambientale, che tenga conto appunto delle esigenze di uno sviluppo sostenibile e della conservazione e miglioramento delle condizioni di vivibilità del pianeta. Per far ciò è importante stabilire dei criteri guida per la gestione del rischio di ogni processo di sviluppo e innovazione, affinché si eviti il pericolo di un mondo trasformato in un grande ambiente digitalizzato, dove gli algoritmi determinano le decisioni e dove la tecnologia, come da più parti teorizzato, possa superare la stessa umanità, volendo intendere però questo, come un pesante condizionamento regressivo delle capacità umane verso forme sempre più accentuate di massificazione e con un ulteriore schiacciamento sul piano orizzontale delle nuove generazioni. (…)