L’INTERA FAMIGLIA CIONTOLI FINISCE IN CARCERE

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MAMMA MARINA: «HO PORTATO A MARCO QUEI FIORI PROMESSI. GIUSTIZIA È FATTA». CI SONO VOLUTI SEI ANNI E CINQUE SENTENZE PER PORRE FINE AL PROCESSO.

Un’attesa infinita durata sei lunghissimi anni. Alla fine il verdetto è arrivato. Per la morte di Marco Vannini l’intera famiglia Ciontoli è condannata al carcere. A 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale Antonio Ciontoli, il capofamiglia e sottufficiale della Marina militare con un incarico nei servizi. A 9 anni e 4 mesi – per concorso anomalo – la moglie, Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, quest’ultima ex fidanzata della vittima.

Marco VanniniLa quinta sezione penale alla fine ha ribadito la sentenza del 30 settembre emessa dai giudici di secondo grado, il cosiddetto appello-bis che aveva dato nuove speranze ai familiari di Marco, ucciso il 18 maggio del 2015 nella villa dei suoi futuri suoceri, a Ladispoli, in via De Gasperi. Nell’udienza precedente Vincenzo Saveriano, procuratore generale di Roma, chiese per Antonio Ciontoli 14 anni e una pena minore per moglie e figli. Una mossa che a distanza di tempo ha dato i suoi frutti poiché è stata riconosciuta una maggiore colpevolezza dell’uomo che si è assunto la responsabilità del colpo di pistola, pur se all’inizio con versioni false agli inquirenti, e una pena ridotta per moglie e figli che alla fine di questa storia avrebbero potuto salvare Marco se solo avessero chiamato in tempo i soccorsi. Tutti infatti erano presenti la sera in cui fu ferito mortalmente il ragazzo cerveterano. Anche Viola Giorgini, fidanzata di Federico, ma a sorpresa assolta sin da subito seppur indagata per omissione di soccorso (accusa caduta). Nessuno aveva fatto nulla – secondo i giudici – per salvare la vita al 20enne con polmone e cuore già trafitto dal proiettile. E fanno ancora male ai Vannini quelle due telefonate al 118 partite da casa Ciontoli che hanno avuto un peso decisivo nel processo.

Una storia di misteri. «Hanno mentito, usando crudeltà e depistando gli investigatori», avevano scritto i giudici dell’appello-bis nelle loro motivazioni. Con un movente sconosciuto, se non attribuibile ad uno scherzo, in bagno, mentre Marco si faceva una doccia. «Cosa sia successo in quelle mura domestiche lo sanno solo i Ciontoli», era un altro passaggio nella sentenza. L’aspetto decisivo è il dopo, è in quei 110 minuti interminabili in cui nessuno dei Ciontoli ha fermato l’agonia di Marco Vannini. «Lo abbiamo sempre sostenuto – tira un sospiro di sollievo Celestino Gnazi, legale dei Vannini – e a distanza di sei anni la Suprema Corte ci ha dato ragione».

La prima sera dentro. Uniti nel proteggersi per sei anni, divisi dal Covid e dal verdetto che in Cassazione li ha condannati in modo definitivo per omicidio volontario. Ognuno in cella, in isolamento ma con la tv (chissà se accesa per vedere i servizi nei vari tg), angosciato dai pensieri di quella drammatica sera nella loro villa di Ladispoli e dalle parole del giudice pronunciate lunedì 3 maggio, capitolo finale di un tormentato iter giudiziario. Antonio Ciontoli e Federico hanno trascorso la prima notte in carcere a Regina Coeli, senza poter stare assieme, naturalmente neanche con gli altri detenuti. Per 14 giorni dovranno stare separati.
Nell’istituto penitenziario femminile di Rebibbia Maria Pezzillo e la figlia Martina sarebbero state assieme in cella. Sono le normative anticovid. La notte in cui sono arrivati sono stati sottoposti a tampone. Ripeteranno il test altre due volte. Non è così scontato che Ciontoli padre e figlio restino a Regina Coeli. Anzi, quasi sicuramente chiederanno il trasferimento, forse proprio a Rebibbia. Formuleranno eventualmente la richiesta in questi giorni appena sarà possibile contattare gli avvocati attraverso mail o videochiamate, su permesso della direzione del carcere. Prima di varcare la soglia di Regina Coeli e Rebibbia non sapevano di essere pedinati dai carabinieri in borghese. Pensavano, dopo l’eventuale sentenza di condanna, di raggiungere i penitenziari di loro spontanea volontà, magari accompagnati da qualche amico o parente. E invece no, sono stati raggiunti e invitati a salire in auto. Le gazzelle, lampeggianti e sirene accese, li hanno condotti prima nella caserma dei carabinieri di Civitavecchia.

In fondo è iniziato tutto lì, nella stazione di via Sangallo. Su quel divano nella sala d’attesa i Ciontoli vennero intercettati la notte del 18 maggio 2015. Il cuore di Marco Vannini aveva cessato di battere alle 3.10. E la storia, tragica e travagliata, è finita nella stessa caserma. Espletate le formalità di rito, sono stati ammanettati prima di essere accompagnati di nuovo a Roma, a scontare le rispettive pene. Scene di pianto, di disperazione. Viola Giorgini si è presentata fuori dalla caserma.

Marco VanniniLe reazioni. Marina Conte, la madre, lo aveva detto. «Se il mio angelo biondo avrà giustizia, gli porterò finalmente quel mazzo di fiori promesso, un gesto per ridargli dignità e per dirgli che ora può riposare in pace». Così ha raggiunto il cimitero di Cerveteri in compagnia del marito, Valerio, che l’ha sempre affiancata in questi sei anni durissimi. Una confezione di rose gialle, bianche e poi i girasoli, i preferiti di Marco. «Lui è un girasole – si lascia andare all’emozione – è biondo e dove sta il sole c’è lui. È il fiore dei giovani». Marina pensa ancora alla sentenza. «Appena mio nipote mi ha rincorsa per dirmelo – racconta – ho scritto un sms a Marco per dirgli che giustizia è stata fatta. Poi ho chiamato mia madre. L’avevo sognato il mio Marco e proprio in sogno mi aveva detto che sarebbe andata bene. Lui era bello, stava al mare. Non l’ho detto neanche a mio marito».
Un messaggio per i Ciontoli. «Magari stando in carcere – aggiunge – avranno un minimo di pentimento. Loro passeranno tanti anni in carcere, è stata una loro scelta, avrebbero potuto salvare nostro figlio. Noi invece siamo stati condannati all’ergastolo perché Marco non è con noi. Abbiamo perso dall’inizio. Non c’è nessun vincitore. Però se la verità forse non uscirà mai fuori, la dignità a Marco è stata data».

Marco VanniniCome sarà ora la vita dei Vannini? «Per prima cosa dovremo elaborare il lutto in intimità. Poi vorrei aiutare i giovani che hanno dei sogni nel cassetto e che magari non riescono a realizzarli per motivi economici». Pacato come sempre, Valerio Vannini, il padre di Marco, si commuove. E mantiene il punto. «Non perdoneremo mai i Ciontoli. La loro condotta ha generato la rabbia in tutte le persone. Noi davvero non abbiamo fatto nulla. Non ci sta nessun vincitore. Noi abbiamo perso Marco e loro dovranno semplicemente scontare ciò che è giusto per non essersi presi la responsabilità e per aver deciso di non salvarlo».
A un certo punto è iniziato un incubo. La morte di un figlio, il tribunale, cinque sentenze. Dove trovare la forza?
«Non tutti ci riescono. Noi ci siamo trovati ad affrontare una montagna insormontabile. Quando tutto sempre perso però bisogna sempre crederci, perché la giustizia esiste».