Tra la politica come “tifo” e lo spettro del fascismo, un caso di interesse anche nazionale?
Il prossimo 25 e 26 maggio saranno chiamati alle urne in anticipo i cittadini di Genova, dopo le dimissioni del sindaco Marco Bucci lo scorso autunno, candidato alla presidenza della Regione Liguria che è riuscito a mantenere sotto le insegne del centrodestra superando per pochissimi voti il candidato del centrosinistra, l’ex ministro Andrea Orlando, del PD.
Quella delle elezioni comunali di Genova è una campagna elettorale molto singolare, che merita attenzione perché solleva alcuni argomenti di interesse nazionale.
A confrontarsi saranno per il centrodestra l’ex vicesindaco della giunta Bucci e attuale facente funzioni Pietro Piciocchi, “civico” e per il centrosinistra Silvia Salis, ex atleta di livello internazionale nel lancio del martello e oggi dirigente sportiva del Coni, del quale è vice- presidente vicaria, “civica” anche lei.
A contendersi la città ci sono anche altri candidati, che lamentano la scarsa visibilità mediatica rispetto a quelli dei poli nazionali: Mattia Crucioli, ex senatore del Movimento 5 Stelle e consigliere uscente, di Uniti per la Costituzione, progetto politico nato a Genova con ambizioni nazionali e unico tra i movimenti nati nel 2021 in opposizione alle “misure” sanitarie del governo Draghi ad avere eletto un rappresentante alle elezioni locali e ancora attivo oggi con una piattaforma politica incentrata sul tema della promozione della pace anche attraverso la politica comunale e su temi di interesse locale; Raffaella Gualco, candidata di “Genova Unita” lista civica di area centrosinistra fortemente critica verso la gestione delle nomine e delle candidature e promotrice di un ritorno alla partecipazione “dal basso”; Antonella Marras candidata di “Sinistra Alternativa” che mette insieme diversi movimenti post-comunisti e di sinistra radicale; Francesco Toscano, leader nazionale assieme a Rizzo di “Democrazia Sovrana e Popolare” (candidato di bandiera in quanto privo di legami con la città come lo era lo stesso Toscano alle regionali liguri e Rizzo a quelle umbre) altro movimento del post-dissenso spostato sempre più a destra dopo l’accordo con il movimento “Indipendenza” di Gianni Alemanno e il suo candidato Rosson.
Una candidatura a sorpresa, quella di Silvia Salis. Genovese e figlia di un militante del Pci, l’ex atleta non si era mai avvicinata apertamente alla politica attiva.
Il suo nome è uscito fuori dal “cilindro” romano come quello di Bucci per il centrodestra alle regionali in pochissimi giorni. Una candidatura che è riuscita a sorpresa a mettere d’accordo sul suo nome un campo larghissimo, imperniato attorno al Pd, ma che tiene insieme i renziani di Italia Viva che sostenevano il sindaco uscente Bucci e i loro “arcinemici” del Movimento 5 Stelle, i “riformisti” di Più Europa e Azione favorevoli all’invio di armi in Ucraina e Avs più altri gruppi di sinistra “radicale” contrari sino al misterioso “Partito Socialista Unitario” di Christian Fantasia ultimo acquisto della coalizione.
Genova è stata una delle molte “roccaforti” della sinistra che sono cadute negli anni dieci del nuovo millennio, assieme ad altre città liguri come Savona, a centri della toscana come Pisa e Massa (dove il centrodestra è stato riconfermato) e dell’Umbria come Perugia (tornata da poco al centrosinistra come Savona) e Terni, passata dal centrodestra all’outsider “centrista” Stefano Bandecchi di Alternativa Popolare, eletto con i voti determinanti degli elettori di centrosinistra al ballottaggio nonostante l’assenza di accordi formali.
Sino a quel 2017 il Pci prima e i suoi eredi poi sino al Pd di oggi consideravano Genova una città “già vinta” senza neanche bisogno di fare troppa campagna elettorale.
Con la candidatura di Silvia Salis sembra essere tornata quella convinzione, tanto che in una recente intervista l’ex atleta e candidata si è stupita della domanda “scomoda” del giornalista della tv locale PrimoCanale Matteo Angeli, che le ha chiesto, quasi scusandosi, se in caso di “improbabile” sconfitta elettorale sarebbe rimasta all’opposizione nel consiglio comunale genovese o sarebbe tornata al suo incarico di dirigente del Coni, domanda alla quale non ha risposto direttamente, mostrandosi anche piuttosto risentita per la domanda stessa.
Una domanda che viene spontanea è per quale motivo questa convinzione di “avere già vinto” e di considerare la campagna elettorale una formalità inutile sembra di nuovo caratterizzare la coalizione di centrosinistra a Genova.
Forse perché il centrodestra presenta un candidato abbastanza debole dal punto di vista mediatico come Pietro Piciocchi, una candidatura che segna l’assoluta continuità con la giunta precedente guidata dal “civico” Marco Bucci e con quella regionale uscente caduta dopo le disavventure giudiziarie di Giovanni Toti, nonostante alle regionali Bucci sia stato sonoramente bocciato a Genova ed abbia vinto solo grazie al plebiscito della provincia di Imperia?
Qualcosa di simile accadde nel 2022, con il centrosinistra che presentò un candidato civico debole mediaticamente e poco conosciuto investendo pochissimo nella campagna elettorale genovese.
Anche quello di centrodestra è un campo larghissimo, con dentro numerose liste civiche e piccoli partiti di centro come l’Udc quasi irrilevanti a livello nazionale.
Una delle caratteristiche del centrodestra che ha governato Genova negli ultimi anni è stato l’approccio manageriale e post-ideologico alla politica.
Nelle ultime settimane ci sono stati numerosi movimenti di candidate e candidati da una coalizione all’altra, non solo un intero partito come Italia Viva, non solo tra i “civici” ma anche tra partiti apparentemente molto lontani come Fratelli d’Italia e il Pd.
Silvia Salis ha definito il suo avversario “un burocrate” mentre Maurizio Gasparri ha affermato che la candidata del centrosinistra è stata scelta perché “carina” anche se priva di esperienza politica e legame vero con la città attirandosi le accuse di avere un atteggiamento “sessista” verso la sua avversaria.
Se guardiamo oltre queste schermaglie molto scontate, quello che dovrebbe apparire chiarissimo a un osservatore che voglia informare in maniera indipendente è che Salis e Piciocchi appaiono assolutamente intercambiabili, potrebbero scambiarsi i ruoli e difficilmente qualcuno se ne accorgerebbe.
Pietro Piciocchi ha affermato una volta che potrebbe essere stato a condizioni diverse anche candidato del centrosinistra, Silvia Salis per la sua storia professionale recente, ma anche nell’estetica della campagna elettorale di oggi, appare vicinissima a quell’approccio manageriale e post-ideologico alla politica che ha caratterizzato il “totismo” che possiamo a tutti gli effetti considerare la versione ligure del berlusconismo e che ancora caratterizzare il “buccismo” di oggi che si differenzia dalla gestione precedente solo per una comunicazione meno ostentata e più vicina al tradizionale understatement ligure e sabaudo.
Entrambi i candidati non sono particolarmente attivi sui social, si vantano di andare “in giro” e al mercato, ma oggi sappiamo che le elezioni si vincono anche e soprattutto con un’attenta comunicazione social.
Ma lo spetto che aleggia sulle elezioni genovesi è certamente quello del fascismo.
A metà aprile, infatti, un sindacalista della Cgil ha dichiarato di essere stato vittima di un’aggressione “di stampo fascista” a causa dei loghi per i referendum sul lavoro e la cittadinanza previsti per l’8 e il 9 giugno. Immediatamente è stata convocata una piazza “antifascista” molto partecipata a Piazza Baracca, nella frazione di Sestri Ponente dove sarebbe accaduto il fatto delittuoso e la candidata sindaca del “campo largo” ha dichiarato per l’occasione che “in città c’è un clima che non va bene, che permette un certo tipo di atteggiamenti. Credo che una risposta di piazza così forte non voglia solo ribadire lo spirito antifascista di Genova, ma anche uno spirito che va contro i valori che in questi anni abbiamo visto trionfare nel paese, con la difficoltò addirittura a definirsi antifascisti in un paese unito dalla Resistenza” la Cgil ha parlato di “vile aggressione fascista” e il centrodestra locale è stato accusato di non aver preso le distanze in maniera abbastanza marcata da questo episodio. In piazza anche Andrea Orlando e l’ex segretario della Cgil e parlamentare Sergio Cofferati.
Due giorni dopo, le incongruenze notate subito dagli inquirenti nella ricostruzione dei fatti esplodono e il sindacalista confessa di essersi inventato l’aggressione “fascista” di sana pianta, ed è ora indagato per simulazione e sospeso dalla Cgil stessa.
Restano però numerosi misteri, in primis se sia stato picchiato davvero, e soprattutto il movente dell’invenzione di una falsa aggressione.
Nei giorni successivi, il centrodestra e Uniti per la Costituzione hanno chiesto alla candidata del campo largo di “scusarsi” per le roboanti dichiarazioni dopo il fatto. “Fare affermazioni senza conoscere i fatti e senza aspettare che vengano acclarati suscitando un’ondata di paura e sdegno (pienamente legittimi) da parte della cittadinanza, per un mero calcolo politico ed elettorale volto ad ottenere consensi, non solo è una mossa improvvida, ma è anche un gesto molto irresponsabile e pericoloso da parte di chi si candida alla guida di una città e di una comunità” ha dichiarato la capolista di Uniti per la Costituzione Emanuela Risso, accusando Salis di aver creato allarmismo infondato.
Toni simili dal centrodestra, mentre dal “basso” la base elettorale del centrosinistra sostiene che Silvia Salis è stata parte lesa in questa vicenda e che tutto l’episodio sia stato strumentalizzato dagli altri partiti per metterla in difficoltà.
Da parte del centrosinistra locale non ci sono state dichiarazioni ufficiali sull’evento.
La falsa aggressione è stata solo un caso legato a un’iniziativa personale del sindacalista?
Ci sono legami con la politica, dall’una o dall’altra parte?
Un mistero che per ora resta tale, ma che è indicativo di come la mobilitazione identitaria su temi “di bandiera” e a costo zero, l’antifascismo, l’anticomunismo (ma anche “la teoria del gender” e altri temi assolutamente avulsi dal contesto locale) sia utilissima a mascherare la sostanziale assenza di vere differenze nella visione dei territori e del paese da parte delle due coalizioni principali.
Intanto domenica 4 maggio nuove polemiche per una manifestazione di gruppi neofascisti Casa Pound e Lealtà Azione anche provenienti da fuori città (circa 150 persone) nei pressi della stazione Genova Brignole: insomma, sinistra e destra hanno rimosso quanto accaduto tra il 2020 e il 2022 e le misure autoritarie che hanno sostenuto anche a livello locale (Genova è stata tra le ultime città a revocare l’obbligo di mascherina all’aperto nell’estate 2020) ma in compenso dal punto di vista mediatico sembra di essere nel 1922 e la marcia su Roma sembra imminente.
Per completare il quadro, l’assessora comunale leghista Marta Brusoni dichiara di essere stata minacciata via social da “sedicenti antifascisti” mentre il Pd dopo la manifestazione invita il centrodestra a prendere le distanze dai “saluti romani”
A fine 2022 in Lazio il centrosinistra candidava l’ex vicepresidente e assessore alla sanità Alessio d’Amato, nel frattempo passato dal PD ad Azione.
La rivendicazione delle restrizioni sanitarie, delle quali d’Amato è stato uno dei più tenaci sostenitori, apparve allora l’ultimo rifugio di una coalizione senza idee e incapace di costruire un’alternativa credibile a una destra che sta cercando di consolidare una vera e propria egemonia culturale a livello nazionale.
A Genova possiamo forse affermare che l’antifascismo molto di maniera abbia la stessa funzione, in una città dove lo spirito antifascista è molto forte e dove la destra è molto legata allo spirito manageriale berlusconiano e a un certo moderatismo post-democristiano, tanto che è una delle poche città dove l’Udc è ancora rilevante?
Anche da parte del centrodestra uscente non è che le idee siano moltissime, il punto qualificante oltre alla forte spinta su “grandi opere” e infrastrutture impattanti dalla dubbia utilità come il cosiddetto “skymetro” che è stato evocato anche a Roma e la “funivia dei forti” a scopo turistico, è la continuazione rafforzata di una politica dei “bonus” per i residenti rispetto a una serie di servizi, e la “politica dei bonus” fu uno dei punti qualificanti del governo Conte bis, difficile trovare le differenze.
I referendum dell’8 e del 9 giugno appassionano poco, forse non tanto per i temi, quanto perché la Cgil ha perso parecchia credibilità sostenendo in maniera decisa le restrizioni del 2020 (anzi, si accusava il governo di non aver chiuso anche le attività essenziali) e soprattutto le politiche del green pass.
Il segretario Landini non solo non difese i lavoratori sospesi per non essersi sottoposti alla vaccinazione, ma chiese anzi un obbligo vaccinale generalizzato.
Mettendo insieme questi aspetti con la difficoltà che da anni i referendum incontrano in Italia, è facile concludere che questi quesiti difficilmente possono impensierire i “fascisti”.
Se guardiamo invece a temi più concreti, la candidatura dell’Italia agli europei 2032 porterà con tutta probabilità una pioggia di soldi per la ristrutturazione e la gestione degli stadi.
Quello della gestione del Luigi Ferraris, chiamato “Marassi” dai genovesi dal nome del quartiere, della quale parlano spesso entrambi i candidati, anche se in apparenza non incide più di tanto sulla vita dei cittadini, è forse la vera posto in gioco delle elezioni genovesi.
La scelta di una dirigente sportiva e il grande investimento comunicativo su queste elezioni locali da parte del centrosinistra potrebbe essere legata all’importanza che assumerà la questione degli stadi nei prossimi anni.
Tra l’altro, Silvia Salis non fa mistero della sua simpatia per una delle squadre della città, la Sampdoria (tra l’altro in grave difficoltà sportiva oggi dopo le vicissitudini societarie legate al passaggio di proprietà tra Massimo Ferrero e la gestione attuale) e molti elettori non fanno mistero che non la voteranno proprio per questo.
Questo è indicativo di come oggi militanza politica e tifo tendano ad assomigliarsi molto più che in passato, con due coalizioni che estremizzano la comunicazione su temi identitari, ma hanno visioni sostanzialmente uguali, e competono solo per la gestione ordinaria del potere senza essere realmente alternative tra di loro.
L’astensionismo alle recenti elezioni regionali è stato altissimo in una regione che tradizionalmente votava moltissimo, è chiaro che i vecchi punti di riferimento e il voto di appartenenza sono saltati in maniera irreversibile, che a votare oltre a una minoranza ancora ideologizzata si reca quasi esclusivamente chi ha un interesse diretto, che alzare la posta comunicativa su temi identitari che non incidono sulle vite dei cittadini sembra incidere pochissimo.
Trovare la chiave per intercettare l’astensionismo non strutturale e scardinare un bipolarismo ormai esausto è la vera sfida dei nuovi movimenti civici e politici, sia locali che nazionali.
Andrea Macciò