L’amico immaginario – 1° Parte

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Dottor Riccardo Coco – Psicologo – Psicoterapeuta

Dottor Riccardo Coco Psicologo - Psicoterapeuta
Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Alcuni bambini hanno bisogno di crearsi “un amico immaginario”, non necessariamente umano, con il quale interagire ed interloquire. I genitori a volte si preoccupano quando vedono il proprio figlio intrecciare un curioso dialogo “per voce sola”, con questo strano “amico” e spesso si chiedono se sia “normale” una cosa del genere.

Diciamo subito, pertanto, che è sia normale che frequente che dei bambini abbiano un compagno immaginario con cui giocano e parlano; non è segno di patologia ed anzi assolve, come vedremo, diverse funzioni psicologiche importanti.

Una di queste funzioni ha a che fare con il meccanismo psicologico di difesa della proiezione, del quale parlerò estesamente in un prossimo articolo.

Per adesso dirò sinteticamente che la proiezione consiste nel “mettere fuori da sé”, in qualcun altro, delle parti di sé disturbanti, come pulsioni, sentimenti, pensieri, etc. fonte di laceranti conflitti psicologici. Allora il bambino può proiettare nell’amico immaginario, per esempio, i propri errori in modo da evitare di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

Per spiegarmi meglio porterò l’esempio di “Tigre sorridente”, un compagno immaginario della nipotina di tre anni della famosa analista infantile Selma Fraiberg.

La bambina quando veniva rimproverata di qualcosa diceva che era stata “Tigre sorridente” a fare le “marachelle”, liberandosi in tal modo dal dover “prendere su di sé” il peso del sentimento della colpa che sarebbe derivato dall’assunzione della responsabilità delle sue azioni (non posso non pensare a tutti quei politicanti che vediamo nei talk show che dovrebbero essere molto più maturi della nipotina della Fraiberg e che fanno a “scarica barile” continuamente, come prassi automatica e consolidata, tanto che, quasi quasi, se attribuissero le colpe ad un amico immaginario piuttosto che all’oppositore politico di turno risulterebbero meno ridicoli)

E così “Tigre sorridente” finiva per essere la colpevole di tutte le tracce di fango sul tappeto, di aver versato il latte, rotto i bicchieri e di altri piccoli misfatti che si verificavano sovente in presenza della bambina.

Un’altra funzione che viene ad assolvere l’amico immaginario è quella di essere la “presentificazione dell’amico ideale”. Mi spiego meglio: l’amico immaginario compare intorno ai tre, quattro anni, quando i bambini sentono forte il bisogno di un compagno e nello stesso tempo avvertono le difficoltà presenti nell’amicizia reale, che non è mai quel paradiso che spesso gli adulti immaginano.

A volte i rapporti tra coetanei possono essere molto deludenti e conflittuali e così nell’impossibilità di trovare un amico “ideale” i bambini se lo inventano, mettendo in scena un teatro interiore, in cui ogni cosa avviene proprio come vorrebbero.

È un po’ come l’orsacchiotto o il giocattolo preferito (il famoso oggetto transazionale su cui ho scritto già un articolo in passato), con una differenza importante però: con l’invenzione dell’amico immaginario il bambino non ha più bisogno di un oggetto concreto da toccare, abbracciare, etc. per sentirsi rassicurato o consolato.

Gli basta pensarlo, immaginarlo. Si tratta quindi di un’operazione che dimostra l’intelligenza creativa del bambino, capace di consolarsi quando si sente frustrato o solo. Nella seconda parte parlerò delle altre funzioni psicologiche utili allo sviluppo che riveste l’amico immaginario.

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