di Silvio Vitone
“Ed ora queste contrade, che furono così popolate di gente … non son ridotte che a squallide e deserte campagne“, Così si esprime l’erudito, Antonio Coppi, vissuto ai primi dell’ 800, nella sua “Storia dei luoghi una volta abitati nell’ Agro romano”.Viene prospettata una visione negativa della Campagna Romana, dominata dal latifondo cerealicolo – pastorale, e governata da una retriva nobiltà, che fa apparire ( ancora ) agli occhi dei visitatori del Grand Tour queste terre desolate e malsane e malariche.
In questa logica si inseriscono anche le descrizioni e le analisi di Gregorovius e del Tomassetti ( storico di fine Ottoccento ), del Rosati e anche del Nybbi.
Certo è che l’Alto Medioevo non è stato un periodo roseo in quell’area geografica denominata Campagna Romana. In particolare, per quanto riguarda la regione attraversata da un’importante arteria come l’Aurelia, bisogna convenire che questa è del tutto dimentica (e dimenticata) dei fasti della classicità. Si tenga inoltre presente che gli eserciti che si recano verso l’Urbe per conquistarla (Longobardi, Franchi e Normanni) e più tardi gli imperatori Sassoni e gli Ottoni, per farsi incoronare, scelgono la Cassia e/o la Francigena. In un certo senso l’Aurelia viene “declassata”. Secondo studi più recenti, invece, di J . Bugli ( 2011 ) in “La via Aurelia tra Roma e Civitavecchia nel Medioevo“ è da ritenere che pure durante le invasioni barbariche l’Aurelia sia restata l’asse portante lungo la costa e abbia permesso all’ Urbe di rifornirsi di viveri e derrate. A questa voce “dissenziente”si unisce lo studioso Marco Vendittelli, di cui mi piace qui ricordare la ricerca intitolata “ dal Castrum Castiglionis al casale di Torrimpietra“.
Questa tesi “positiva” è confortata dagli elementi tratti dal “De bello Gothico” di Procopio di Cesarea. Infatti se si eccettuano le scorrerie dei Saraceni anni 854 e 846, in questo secondo caso brillantemente fermati e sconfitti da un tal Guido, duca di Spoleto, dalle parti di Lorium (Castel di Guido), l’ Aurelia non soffre di significative invasioni e devastazioni. E la felice esperienza del porto – castello di Santa Severa sta a testimoniare anche nell’alto medioevo una continuità dei traffici marittimi sulle coste a Nord di Roma.
Ed anche le zone acquitrinose debbono essere riconsiderate perché all’epoca non erano malariche e servivano per la caccia, il legname e l’allevamento dei maiali, animale principe nell’alimentazione medioevale. Ma già a nord di Civitavecchia bisognava fare i conti con il potente ducato longobardo della Tuscia. Come viene sottolineato nel Chronicon del monaco di Soratte del 749 “ Astolfo ( re dei Longobardi )misitGrimuald ad Centumcellensis ut custodiretviasfinibusromanis et portuamaris “. IL verbo “custodiret”deve essere tradotto come tenere sotto controllo o addirittura porre assedio . Insomma per i secoli VII e VIII la minaccia longobarda è incombente. Il merito di questa situazione, quantomeno non infelice, è attribuirsi forse alla relativa stabilità del Ducato Romano e poi al nascente potere temporale dei Papi, che svolgono un’azione di coesione e salvaguardia del territorio. Leone IV, Gregorio VII, Stefano II non solo sono grandi Papi, – del periodo – ma anche abili uomini politici e lungimiranti governanti.
La Chiesa di Roma, non ancora costituitasi come Stato Pontificio e le grandi abbazie ( leggi Farfa ) si arricchiscono mediante le donazioni di vasti territori, che vengono di fatto amministrati dai baroni ( barones). La presenza della Chiesa e la sua occhiuta vigilanza non impediscono, però, che tra il X e XI secolo i baroni tendano a rendere ereditario il loro beneficio e a non riconoscere più il canone dovuto all’ autorità pontificia: è il momento della feudalizzazione della Campagna Romana.
Le rivendicazioni dei baroni, da un punto di vista insediativo, ridisegnano lungo la via Aurelia un panorama diversificato e complesso. E così abbiamo, tanto per citare qualche nome, il“ Castrum quod congnominatur de Guido” secondo gli Annali Camaldolesi del 1073, presso la statio di Lorium.
All’ epoca è incerta l’esistenza del castello ( castrum ) di Maccarese, in quanto notizie precise se ne hanno solo a partire dal tredicesimo secolo
E doveva già essere costruita la Torre dell’ Acquafredda, (quasi a ridosso del GRA) così chiamata per una leggenda legata a Teodorico. Torre semaforica o giurisdizionale ?
Il “castrum Pali” degli Alberteschi, sul litorale ladispolano, non era ancora diventato il magnifico castello castello rinascimentale che oggi ammiriamo.
Più nell’interno, verso la via Clodia, doveva già aver assunto la funzione di controllo strategico il borgo fortificato di Ceri, sorto su un pagus etrusco, di cui è nota l’esistenza fin dal 1054.
Purtroppo le fonti storiografiche cui attingere sono scarse, per il periodo dei secoli di ferro X e XI, le medesime datano dal XIV e dal XIII secolo.
Né un grosso aiuto viene dall’archeologia perché “le attività di scavo hanno carattere di episodicità “ (J.Bugli2011 ) Queste pur frammentarie notizie bastano a dare un’idea della particolarità della “feudalizzazione” in un angolo della Campagna Romana,feudalizzazione piuttosto “ anomala”, che attende più approfonditi studi ed una migliore conoscenza del territorio.