La racconta Valerio Mastandrea con “Nonostante”, il suo secondo film da regista, arrivato sul grande schermo in questi giorni. Sarà l’amore, come in ogni favola che si rispetti, a riportare il protagonista, interpretato dallo stesso regista, fra i vivi? Nel cast ci sono anche l’attrice argentina Dolores Fonzi e Laura Morante.
di Barbara Civinini
Magia dell’amore o pre morte? L’importante è tornare a vivere, a qualsiasi costo. E’ quello che prova a descrivere Valerio Mastandrea nella sua seconda prova da regista, dopo sette anni, con “Nonostante”, arrivato al cinema in questi giorni.

Raccontare una storia d’amore è forse più difficile che viverne una, dice il regista. Per questo ci serviva uno spartito semplicissimo, come le feste di quando avevamo tredici anni, suonato però in un mondo quasi astratto, dove la condizione dei nostri personaggi senza nome è metafora dei momenti della vita in cui stare fermi, immobili, rischia di diventare una forma di difesa dagli urti della vita, spiega. I nostri “Nonostante”, prosegue, sono questi, un avverbio che si fa sostantivo, un popolo di persone che solo quando incontra l’amore prova a opporsi alla sofferenza.

La scelta singolare di questo titolo l’ha mutuata da una frase del poeta Angelo Maria Ripellino, che recita: “Siamo tutti nonostante sferzati dal vento”. La storia è molto lineare, ma tutta da interpretare tra le righe. Un uomo trascorre le sue giornate in ospedale senza troppe preoccupazioni. È ricoverato da un po’ ma quella condizione sembra il modo migliore per vivere la sua vita, al riparo da tutto e da tutti, senza responsabilità e problemi. Si sta davvero bene lì dentro e anche se qualche compagno di reparto si sente intrappolato, per lui ci si può sentire anche liberi come da nessun’altra parte. Quella preziosa routine scorre senza intoppi fino a quando una nuova persona è ricoverata nello stesso reparto. È una compagna irrequieta, arrabbiata e non accetta nulla di quella condizione, soprattutto le regole non scritte. Non è disposta ad aspettare, vuole lasciare quel posto comunque sia: vuole vivere come si deve o morire, come capita a chi finisce lì dentro. Lui viene travolto da quel furore, prima cercando di difendersi e poi accogliendo qualcosa d’incomprensibile, forse l’amore. Quell’incontro gli servirà ad accettare che se scegli di affrontare veramente il tuo cuore e le tue emozioni, non c’è alcun riparo possibile.

Insomma, afferma il regista, è stato un po’ come mettere in scena una storia d’amore tipo quelle che scoppiano improvvisamente a una festa di scuola, di pomeriggio, a casa di sconosciuti, dove t’innamori senza un motivo reale e ti accorgi che la vita da quel giorno non sarà più la stessa di prima. Dunque si tratta di un film molto personale e delicato, nato dopo lunghi anni di maturazione, a mezza strada fra due grandi classi del genere, molto apprezzati dal grande pubblico: “Il Paradiso può attendere” e “Ghost”.
Forse però è meglio sognare in grande e credere profondamente nell’amore, come fa il protagonista de “Il segno della libellula – Dragonfly”, a cui ha prestato il volto un indelebile Kevin Costner, per scoprire che l’amore non è mai perduto per sempre e che lascia frutti preziosi. In fondo, per dirla con Goethe, “Quelli che non sperano in un’altra vita sono morti perfino in questa”.