Il guerriero dal tenero cuore

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Carciofi e vip: un idillio antico

di Angelo Alfani

Il carciofo appartiene alla famiglia delle Asteraceae, la stessa di girasoli e crisantemi. Un ortaggio che racchiude in sé la metafora della vita: nasce all’apparire del sole fino a divenire pianta dei defunti.

Splendida pigna che più mediterranea non potrebbe essere: tutte le otto specie spontanee del genere Cynara hanno infatti origine sulle terre che hanno il mare nostrum come arteria di diffusione culturale; deve il suo nome agli arabi (al-kharshûf o anche ardi-shoki, cioè spina della terra o pianta che punge), e, non da ultimo, la sua domesticazione viene attribuita, a secondo delle simpatie dello studioso, ai siciliani o ai pugliesi. Il carciofo si sa non si trova allo stato selvatico ma è il frutto di attente selezioni che hanno portato a centinaia di diversi cultivar. In Italia sono famosi i violetti liguri, i toscani ed i siciliani: spinosi e non spinosi. Ma il Principe è il romanesco detto anche cimarolo. Due le qualità il Castellamare ed il Campagnano.

Come tutte le piante di rispetto anche il carciofo ha il suo mito: Cynara, ninfa dagli occhi viola e dai capelli color cenere, che Giove provò a sedurre. Una scontrosità così inaspettata che, il Weinstein dell’Olimpo non riuscì a mandare giù, al punto da trasformarla in un carciofo verde e spinoso: spine che respingevano ogni sospirato approccio amoroso.

Apprezzato, non nella forma attuale, fin dai tempi dei tempi, gli veniva attribuita la virtù di infondere sprezzante coraggio al punto che il re Egizio Tolomeo Evergete ne rimpinzava i suoi soldati, passati alla storia per il loro coraggio ed ardimento.

Caterina de Medici, la jotta
Per secoli il carciofo cadde nell’oblio, scomparendo dalla tavola.
Venne riscoperto da Caterina de Medici, la fiorentina che insegnò ai francesi la cucina e l’uso della forchetta, che vi introdusse anche il carciofo, che, per tutto il Rinascimento, rimase esclusivo cibo per nobili. Si tramanda che una montagnola di carciofi fosse sempre presente sulla sua tavola e che prediligesse quelli cotti nel vino.
Si racconta che la tracagnotta, bruttina e palliduccia, dagli occhi a palla, Caterina ne fosse così ghiotta che capitava assai spesso che i medici di corte dovessero intervenire per sgonfiargli la pancia che sembrava lì, lì per scoppiare.

Caravaggio ed i carciofi al burro
Uno dei più grandi pittori della storia dell’arte, il lumbard, geniale col pennello ma di poco inferiore con la spada, è ricordato per una lite avvenuta all’ Osteria del Moro in faccia al Ghetto pe sboccà sur Ponte, nel 1604.
Così racconta la cronaca: il pittore, entrato nell’ osteria con aria spavalda e spada appiccicata al fianco, si sedette ed ordinò un piatto di carciofi. Il garzone, poco dopo, portò alcuni carciofi al burro ed altri all’olio. Ma quali gli uni e quali gli altri? Alla domanda l’improvvido garzoncello rispose: “Daje ‘na annusata che li riconosci”. La risposta fece saltare la mosca al naso al Merisi che, preso il piatto, glielo tirò addosso e lo inseguì con la spada sguainata per tutta l’osteria.


GIOACCHINO BELLI E I CARCIOFOLI
Nel sonetto Er pranzo de le minente scrive il poeta romanesco:
Mo ssenti er pranzo mio. Ris’e ppiselli,/ allesso de vaccina e ggallinaccio,/ garofolato, trippa, stufataccio,/ e un spido de sarcicce e ffeghetelli.
Poi fritto de carciofoli e granelli, certi gnocchi da facce er peccataccio [……]

Pablo Neruda stregato dal guerriero
Il poeta cileno gli rende onore con una splendida poesia:
«Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero/ ispida edificò una piccola cupola/ si mantenne all’asciutto sotto le sue squame/ vicino a lui i vegetali impazziti si arricciarono/ divennero viticci/ infiorescenze commoventi rizomi/ sotterranea dormì la carota dai baffi rossi/ la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino/ la verza si mise a provar gonne/ l’origano a profumare il mondo/ e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero/ brunito come bomba a mano/ orgoglioso/ e un bel giorno/ a ranghi serrati/ in grandi canestri di vimini/ marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:/ la milizia./ Nei filari mai fu così marziale come al mercato/ gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi/ file compatte/ voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade/ ma allora arriva Maria col suo paniere,/sceglie un carciofo/ non lo teme/ lo esamina/ l’osserva contro luce come se fosse un uovo/ lo compra/ lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe/ con un cavolo e una bottiglia di aceto finché/ entrando in cucina/ lo tuffa nella pentola./ Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo/ poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta/ del suo cuore verde».

Italo Calvino e un’opera carciofo
Calvino, senz’altro uno degli scrittori italiani del Novecento più letti nelle scuole e più venduti nelle librerie, usa l’espressione “un’opera carciofo”, specchio della complessità del mondo, per il suo pamphlet La giornata di uno scrutatore.
Così si esprime Calvino: La realtà del mondo si presenta ai nostri occhi multipla, spinosa, a strati fittamente sovrapposti. Come un carciofo. Ciò che conta per noi nell’opera letteraria è la possibilità di continuare a sfogliarla come un carciofo infinito, scoprendo dimensioni di lettura sempre nuove”.

Andreotti e la politica del carciofo
Il Divino, che si è portato nella tomba tanti terribili segreti di questo infelice Paese, partecipò ad un Sagra nei primi anni sessanta. Apprezzava i carciofi alla romana, raccontava mio padre sindaco all’inaugurazione. L’espressione politica del carciofo, attribuita a Carlo Emanuele III, con la quale si intendeva la realizzazione degli obiettivi per gradi, un po’ per volta, così come i nordici usano mangiare il loro carciofo, foglia per foglia, fu una strategia politica a cui Andreotti sempre si ispirò.  Meglio le foglie di carciofo, anche se dure, che ingoiare rospi.

N.B.
Un particolare ringraziamento per le foto Arsial, al funzionario Maurizio Targa, per la sua convinta partecipazione.