IL DOLORE DEI FIGLI

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A modo tuo…Andrai a modo tuo…Camminerai e cadrai, ti alzerai…Sempre a modo tuo”.

Questa è una frase di una canzone scritta da Ligabue e cantata da Elisa. Racconta di quanto sia difficile, ma naturale, veder crescere i figli a modo loro e fare in modo che possano fare le scelte, gli sbagli ma fare in modo che risolvino da soli, con le loro capacità e le loro modalità, le problematiche che si presentano nella vita. Tutto con l’osservazione dei genitori ma che, spesso, devono stare in disparte.

La parte più difficile è vedere un figlio che soffre per eventi della vita che non possono essere evitati perché tutti noi, prima o poi, abbiamo vissuto quelle situazioni. Tutti i genitori si ricordano quando era semplice abbracciare e consolare il bambino che piange. Le cose si complicano con la crescita. Qui, infatti, si parla della fine di un (primo) amore importante, di un professore che ce l’ha esplicitamente con il ragazzo o del tradimento dell’amico/a, ecc. Capita che i figli si confidino con i genitori ma capita anche il contrario.

Spesso succede che i genitori vogliano intervenire per difendere o per aiutare il figlio ma spesso, questo intervento, può provocare maggiori danni poiché, in effetti, il genitore sa solo una parte di ciò che è successo. Come quando il genitore si mette in mezzo nel litigio dei fratelli: non sa come sono effettivamente andate le cose e spesso, anzichè far risolvere a loro la questione, decide lui chi ha torto e chi ha ragione.

C’è anche la falsa idea: che il figlio debba essere sempre felice quando, invece, dolore inevitabilmente fa parte della vita ed aiuta a crescere. Quando un genitore interviene sempre nelle problematiche della vita del figlio, succedono due cose importanti:

1- l’intervento serve al genitore per sedare la sua ansia,
2- è come se venisse comunicato al figlio “tu non sai risolvere le cose, quindi ci penso io che le cose le so fare”.

Quest’ultimo punto è un messaggio implicito importante e può rendere, nella maggior parte dei casi, il figlio insicuro delle sue capacità di problem solving.
Nel primo punto, invece, c’è un inganno importante: il genitore dice “lo faccio per aiutarlo” quando invece il pensiero (inconsapevole) è “mi fa molto male vedere mio figlio in difficoltà, non riesco a sopportarlo, mi provoca molto dolore, per cui intervengo”.

Una delle cose più difficili che deve fare il genitore in questi casi è non intervenire (tranne in casi estremi) e far sì che il figlio attraversi il dolore e trovi lui la soluzione adeguata e con i suoi tempi.

Il senso di impotenza del genitore davanti alla sofferenza del figlio è enorme e lo mette a dura prova perchè deve sopportare il suo senso di impotenza. Facciamo qualche esempio: l’interruzione di un primo amore, soprattutto se il primo amore è durato molto tempo, provoca molta sofferenza e il genitore non può fare nulla se non stare vicino al figlio. Un altro esempio: un professore che ha preso di mira uno studente: il genitore può fare molto poco (alle volte è meglio nulla) perché potrebbe peggiorare la situazione.

Purtroppo tanti di noi abbiamo attraversato questi momenti e, in un modo o nell’altro, abbiamo trovato la soluzione adeguata e abbiamo trovato il modo per accettare il dolore e trasformarlo. Lasciamo che i nostri ragazzi trovino le loro soluzioni, abbiamo fiducia delle loro capacità di soluzione dei problemi, cerchiamo di stare loro accanto anche (soprattutto) senza intervenire perché solo loro sanno cosa provano e solo loro sanno come effettivamente sono andate le cose. Questo fa parte della crescita sia del figlio sia del modo di fare i genitori.

psicologia giuridica
Dottoressa Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

www.psicoterapeutamasin.it
Cerveteri Via Delle Mura Castellane, 60