
Psicologo – Psicoterapeuta
Se nella prima 1°parte di questo discorso sui Disturbi da attacchi di Panico mi sono soffermato sulla loro descrizione, in questa vedremo meglio di capirne cause e trattamenti. Come già dicevo, ci sono posizioni diverse e contrastanti circa l’eziologia ed i trattamenti da adottare. La mia opinione è che la crisi di panico abbia un’origine squisitamente psichica, ad un livello sia di pensiero che di emozione, capace di scatenare una risposta neurofisiologica specifica ed automatica. E’ possibile, infatti, isolare due momenti progressivi dell’attacco: il primo, in cui l’angoscia è ancora avvertita psichicamente, e il secondo, in cui la partecipazione corporea è prevalente e il dolore psichico diventa angoscia somatica incontrollata. Secondo il mio modello clinico i sintomi del disturbo da attacchi di panico sono l’espressione di una sofferenza mentale e relazionale della persona che coinvolge il suo assetto di personalità ed i suoi schemi di pensiero ed aspettativa. Nell’attacco di panico è il corpo a parlare al posto delle parole, poiché le emozioni “disturbanti” che poi generano angoscia non possono essere “sentite” e “prese in carico” con chiarezza e dunque non vi si può dare una risposta appropriata a livello emotivo: così le tensioni che generano trovano il canale somatico per esprimersi, sottraendosi sempre di più alla possibilità di essere comprese psichicamente e “metabolizzate”. Alcune volte gli attacchi di panico compaiono nel corso di crisi di identità, come nei momenti di transizione del ciclo di vita di un individuo e di una famiglia (adolescenza, crisi di mezza età, etc.) o come reazioni alla separazione, all’abbandono ed al lutto: in questi casi il dolore, la rabbia, il senso di colpa, la paura, etc. non hanno modo di essere espressi, vissuti e così “elaborati” ed integrati nel resto della vita psichica della persona. Pertanto le normali difese psichiche che hanno funzione di contenimento dall’angoscia cedono ed essa trasborda nei sintomi somatici. E’ possibile isolare tre livelli che sono strettamente interconnessi nell’attacco di panico. Il livello neurofisiologico che è sotto il controllo dell’amigdala (l’organo cerebrale che gestisce le emozioni) ed è in grado di scatenare le reazioni somatiche. È su questo livello che agiscono gli psicofarmaci, cercando di ridurre l’intensità delle reazioni ansiogene e di combattere lo stato depressivo di base. C’è poi il livello cognitivo, cioè il modo in cui interpretiamo e diamo un significato agli stimoli esterni o interni: ad esempio si può interpretare l’aumento del battito cardiaco a seguito di una forte emozione (che il soggetto spesso fa fatica a riconoscere in sé e a dargli persino un nome, sia esso gioia, dolore o altro) come il fatto di avere un infarto in corso. Ciò ovviamente gioca un ruolo nell’aumentare la paura e l’ansia che poi scatena l’attacco di panico. Infine c’è il livello connesso alla struttura della personalità (organizzatasi nell’infanzia in base alle esperienze di relazione) con le sue rigidità, il suo stile di attaccamento, le sue preminenti difese psichiche, etc. cioè tutta quella complessa configurazione psicodinamica che regola il funzionamento psicologico di una persona e dà origine al sintomo, condizionando l’intero mondo interno e relazionale della persona. È su questi due ultimi livelli che agiscono le psicoterapie.
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