I TRAUMI CRANICI CHIUSI

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LA MIA ESPERIENZA IN TERAPIA INTENSIVA

di Aldo Ercoli

tiroide
Dottor Professor
Aldo Ercoli

La maggior parte dei danni cerebrali causati da traumi cronici chiusi è secondaria all’accelerazione – decelerazione dovuta all’impatto. Trattasi di quadri clinici assai diversi che vanno dalla forma meno grave, la commozione cerebrale allo stato di coma. Nel primo benigno caso vi è un’immediata perdita di coscienza, transitoria e non associata ad altre patologie cerebrali. Altre volte vi è anche una mancanza di memoria senza deficit neurologici immediati. Basti pensare al K.O. (Knockout) del pugile che ha per pochi secondi una compromissione della coscienza, con pupille midriatiche (aumentate di volume) e non reagenti alla luce (non diventano piccole, miotiche). Il cuore può rallentare, il respiro si fa corto, i muscoli diventano flaccidi.

 

Nelle lesioni commotive minori il paziente, dopo un breve periodo di incoscienza (meno di un minuto) si presenta lucido ed in grado di dialogare. Ci può riferire cefalea, una certa difficoltà nel concentrarsi, un’amnesia (non ricorda niente) e una vertigine isolata, entrambe di breve durata. Il paziente va controllato al Pronto Soccorso per alcune ore e poi, se asintomatico e ristabilito, va accompagnato a casa ove va seguito da familiari o amici. Non è però affatto raro che accusi una cefalea costante nei giorni successivi al trauma. Si tratta generalmente di una cefalea sorda che, perdurando nel tempo, può evolvere in una cefalea depressiva, ossia cronica generalizzata, descritta in modo vago, talora associata a sindrome vertiginosa soggettiva e sensazione di instabilità posturale. All’Rx del cranio, nella stragrande maggioranza dei casi, non si riscontrano fratture. Né lesioni emorragiche alla TC (Tomografia computerizzata).

La Tc d’urgenza ha un’alta sensibilità di evidenziare non solo fratture ma sospetti sanguinamenti endocranici oppure masse occupanti spazio endocranico che possono provocare un’ipertensione endocranica. Nei traumi severi (TBI: Traumatic Brain Injury) l’Rx del cranio ha un ruolo modesto se non nullo. La Rm (risonanza magnetica) è anche essa di scarsa utilità nella valutazione acuta di TBI. Può però essere assai utile in seguito per rilevare lievi anomalie non individuabili con la TC. Altro limite di quest’ultima, stiamo parlando sempre di TBI (traumi gravi), consiste nel dato che può essere normale nei pazienti in coma con lesioni tali da provocare interruzioni anomale nella sostanza bianca cerebrale.

Tra lesioni commotive minori e traumi gravi (TBI) vi sono traumi cranici di gravità intermedia in cui occorre controllare, da parte del medico curante se vi è uno stato di sonnolenza, la funzione respiratoria, le condizioni cardiocircolatorie (frequenza, pressione arteriosa) e vedere soprattutto se c’è midriasi. Generalmente dopo settimane o mesi lo stato di vigilanza, la sfera cognitiva la memoria tendono a normalizzarsi. Nei traumi gravi spesso i pazienti si presentano in una condizioni di coma sin dall’inizio. Dopo un’attenta valutazione neurologica (diametro e reattività delle pupille, riflesso di Babinski) sono necessarie manovre di rianimazione con intubazione in un reparto di terapia intensiva. I pazienti con ematoma epidurale o subdurale oppure con una estesa emorragia intracerebrale necessitano di una pronta decompressione neurologica.

Ricordo che l’anno dopo essermi laureato (1975) ho conseguito quale medico volontario, un attestato di frequenza semestrale presso il reparto di terapia intensiva dell’Ospedale San Giovanni di Roma. Più che pugili ho visto pazienti reduci da gravissimi incidenti stradali o da risse assai violente. Il direttore, l’ottimo prof. Evasio Fava (vedi attestato) mi ricordava sempre di guardare le pupille (dimensioni, simmetria, reattività) di eseguire un esame neurologico completo. Mi raccomandava di controllare l’ipossia, l’ipercapnia, l’ipertermia e se vi erano variazioni quotidiane. Ricordo che insisteva molto sull’emorragia subaracnoidea, un’improvvisa cefalea iniziale dovuta ad una brusca alterazione della pressione endocranica. Questo dolore immediato, seguito da una cefalea cronica, persistente, spesso si accompagnava a rigidità nucale dovuta ad una meningite chimica a seguito dallo stravaso sanguigno. Altro tema su cui insisteva molto era quella pertinente i sintomi di ipertensione endocranica.

Mi parlava di una strana cefalea con dolore costante che aumentava al mattino, con nausea, vomito, sonnolenza, visione doppia oppure annebbiata, paralisi del VI nervo cranico (abducente) e papilledema. Un aumento della pressione endocranica (PE) si può avere per uno spostamento del contenuto endocranico, deformazione dei centri vitali troncoencefalici, compromissione della pressione di perfusione cerebrale (PPC). Se nonostante la terapia la PE (pressione endocranica) restava sempre elevata la prognosi era sfavorevole. Il prof. Fava ritornava sempre sull’esame delle pupille. <<Se sono fisse, dilatate e non si contraggono alla stimolazioni luminosa vi è una lesione del sistema autonomo parasimpatico dovuta ad un aumento della pressione endocranica. La prevalente azione dilatativa favorisce il sistema nervoso autonomo simpatico con dilatazione delle pupille (midriasi)>>.

Io, allora medico da un anno appena laureato, prendevo appunti in reparto, bardato dalla testa ai piedi, come i medici che avete visto nell’assistere i malati di Covid. Non è che mi impressionassero i malati così gravi (anche se cercavo di fargli sentire che ero loro vicino) ma il mio passo, la mia inclinazione era più portata verso l’investigazione anamnestica – semiologica internistica (prima bronco pneumologia poi cardiologica). Non potevo limitarmi solo ai pazienti neurologici in terapia intensiva. Non avevo la passione del medico rianimatore. Volevo prevenire e capire il male di ogni organo. Una passione che ancora continua … e più forte di allora.