I fondamenti cristiani del matrimonio etrusco

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Il filosofo etrusco Musonio anticipa la morale cattolica sulla famiglia

di Giovanni Zucconi

In precedenti articoli ho sottolineato come nell’arte etrusca, in alcuni capolavori, come gli straordinari sarcofagi, cosiddetti “degli sposi”, emerga un tenero e reciproco amore coniugale, talmente grande da volere sfidare i secoli. Da queste opere d’arte emerge una famiglia etrusca con aspetti molto moderni, così moderni da non essere per nulla capita dai contemporanei Greci e Romani. Infatti l’immagine che ci possiamo fare ammirando l’arte etrusca, differisce notevolmente da quella che ci hanno tramandato gli scrittori Greci e Romani.

Ma chi aveva ragione? Gli artisti Etruschi o i loro potenti vicini? Non è difficile capire dove nascevano le rimproveri e le condanne degli altri popoli: nel ruolo che aveva la donna nella società etrusca. L’elemento che differenziava, in modo evidente, la coppia etrusca rispetto alle altre, era sicuramente il diverso e più importante ruolo della donna. A differenza di quella greca, la donna etrusca poteva partecipare agli spettacoli ginnici, accomodarsi durante i banchetti a fianco del consorte, conversare con gli uomini e prendere parte alle discussioni, svolgendo un ruolo attivo anche negli affari trattati dal marito. Un’altra particolarità la troviamo nell’attribuzione dei nomi propri delle persone. Le formule antiche, quando devono definire il nome di qualcuno, citano il nome del padre, il patronimico. Nelle iscrizioni etrusche, a questo si accompagna spesso anche il nome della madre, il matronimico, anche se naturalmente non va mai a sostituire quello del padre. In un’iscrizione trovata a Tarquinia, si legge: “Larth, figlio di Arunte Plecone e di Ramtha Aptronia…”. Nella società romana dello stesso periodo, il nome della madre veniva sempre omesso. Inoltre, mentre la donna romana non possedeva un prenome, cioè un nome proprio, diverso dal nome familiare (ossia il gentilizio che, volto al femminile, la identificava), la donna etrusca, al pari dell’uomo, aveva invece il proprio prenome.

Questo evidenzia, se ce ne era ancora bisogno, il ruolo privilegiato della donna in Etruria, decisamente migliore dalla posizione femminile nei popoli della stessa epoca. Non ci stupisce quindi che questo ruolo non era compreso ne gradito agli storiografi contemporanei, naturalmente tutti uomini, in particolare a quelli greci. Lo storico greco Teopompo (IV secolo a.C.) scagliava feroci accuse di corruzione dei costumi alle famiglie etrusche. In particolare, affermava che in queste venivano allevati tutti i figli, anche illegittimi, che le spose partorivano senza preoccuparsi di chi fosse veramente il padre di ciascuno di essi.

Ma non era naturalmente così. Non avendo fonti scritte, ci dobbiamo rifare a fonti indirette. In particolare è importante studiare le opere e il pensiero del filosofo stoico etrusco Musonio Rufo, nato nell’etrusca Volsini (l’odierna Orvieto) nel 30 d.C.

Musonio fu perfettamente integrato nel mondo politico romano, ma sappiamo che rimase profondamente Etrusco, nello stesso modo in cui i Greci rimanevano Greci pur essendo cittadini romani. Di Musonio ci rimangono solo gli appunti in greco di un suo discepolo, ma sono sufficienti per farci capire l’impostazione della sua concezione di famiglia, che possiamo definire addirittura proto cattolica, e ci permettono di leggere con una chiave completamente diversa l’immagine di dissolutezza che i Greci e i Romani hanno voluto lasciarci degli Etruschi.

Musonio concepiva il matrimonio “come cosa grande e degna del più alto rispetto”, e come la base della società stessa. Leggiamo un suo passo delle Diatribe: “La cosa più importante in un matrimonio è la comunanza di vita e la generazione dei figli. Infatti lo sposo e la sposa devono unirsi l’uno all’altra, generare insieme e considerare tutto in comune, nulla come proprio, neppure il corpo stesso. E grande evento è la generazione di un essere umano che questo giogo procura. Ma per lo sposo non basta questo soltanto, che invero potrebbe risultare anche al di fuori del matrimonio, da altre unioni, come anche gli animali si uniscono tra loro. Bisogna invece che nel matrimonio abbia luogo una completa comunanza di vita e una reciproca sollecitudine dell’uomo e della donna, sia nella salute, sia nella malattia, sia in qualsiasi circostanza. […] Quando dunque tale sollecitudine è completa, e gli sposi che convivono se la donano compiutamente in modo reciproco, facendo a gara per vincersi l’un l’altro, questo matrimonio funziona come si deve ed è degno di emulazione, perché simile unione è bella”.

Potreste distinguere questo passo da uno scritto da un qualsiasi precettore cattolico? C’è addirittura la formula “…sia in salute che in malattia…” del matrimonio cristiano. Ma soprattutto, in questo passo, ritroviamo anche i teneri abbracci, la serenità e la complicità che abbiamo visto nei sarcofagi etruschi degli sposi.

Ci sono poi altre corrispondenze con il pensiero cristiano, in particolare per quanto riguarda la generazione dei figli. Uno dei frammenti di Musonio, che può essere visto come una risposta a Teopompo, è intitolato: “Bisogna allevare tutti i figli che nascono” e presenta come una colpa verso la città, la famiglia e Giove protettore della famiglia, impedire la nascita dei figli: “Chi è ingiusto verso la propria stirpe pecca contro Giove protettore della famiglia, che veglia sui peccati contro la generazione”. E ancora: “è bello anche pensare che spettacolo offrono un uomo rícco di prole o una donna circondati dai loro figli”. Musonio anticipa la morale cattolica della famiglia, ma parla e pensa come un Etrusco. Alla faccia di Teopompo…