QUANDO I FIGLI PROVANO A CAMBIARE I GENITORI

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dottoressa Anna Maria Rita Masin Psicologa - Psicoterapauta
dottoressa
Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapauta

In questo articolo parlo del ruolo fondamentale che ha il genitore nella vita presente e futura del proprio figlio; il genitore, infatti, è un modello per il figlio, sia nel­la ricerca e costruzione della rela­zione con il partner, sia come futuro genitore.

È necessario premettere che, al di fuori di patologie o comportamenti disfunzionali o devianti, il genitore adeguato è “il genitore suffi­cientemente buono” ossia una persona né com­pletamente perfetta né completamente imperfetta ma che cerca di fare del suo meglio per crescere il proprio figlio con gli strumenti che ha.

Un genitore insegna al proprio figlio, fin dai primissimi momenti di vita, come rela­zionarsi con gli altri, come e se dimostrare le proprie neces­sità o desideri e come reagire ai suoi comporta­menti e a quelli degli altri. Il ge­nitore viene con­siderato dal figlio un’autorità, per cui quello che fa mamma o papà è verità indiscutibile (almeno fino all’adolescenza). Il figlio, assorbe e fa sue, sia le esperienze che ha con i genitori, sia come i genitori interagiscono tra loro.

Nel momento in cui emergono dei comportamenti inadeguati o patologici in uno dei due genitori o nella coppia genitoriale, il figlio ha la tendenza di cambiare se stesso e i genitori, per evitare i com­portamenti che gli fanno paura, senza trovare una soluzione (perché non ha gli strumenti) e provare conseguenti sensi di inadeguatezza e di colpa.

Quando nel percorso terapeutico emerge questa tematica, è arrivato il momento di riequilibrare i ruoli. Il figlio è il figlio e il genitore è il genitore. Il figlio non può essere genitore del proprio genitore (se non in età adulta e quando il genitore presenta patologie invalidanti); inoltre, i comportamenti pa­tologici che il genitore ha con il figlio sono costruiti dal genitore stesso e, spesso, sono presenti anche nelle altre relazioni.

Il focus dell’origine del males­sere portato dal figlio, così, passa dal figlio al geni­tore, come costruttore di relazioni disfunzionali. Di conseguenza il figlio viene sollevato dalla respon­sabilità dei malesseri e dei malumori del genitore e dà a quest’ultimo la vera responsabilità. Faccio un esempio.

Un ragazzo, A., figlio di un alcolista: il ragazzo vive con il padre una relaziona cosiddetta “on-off”, ca­ratterizzata da momenti di intensa compli­cità (on) alternati a momenti in cui il padre lo svaluta (off); A. ri­ferisce di volerlo aiutare e di provare forti sensi di colpa per non riuscir­ci (è il figlio, non ha gli strumenti). A. pone in secondo piano i momen­ti di sofferenza, di svalutazione quando “viene incolpato di tut­to” e vive in at­tesa dei momenti di complicità, di forte intesa. Cosa fare? È fondamenta­le che A. acquisisca i seguenti concetti: 1- una persona con dipendenza da sostanze o da gioco viene aiuta­to, su sua richiesta, solo da esperti del settore; 2- l’interruttore della relazione “on-off” è in mano solo al genitore e non al figlio, perché il figlio ha solo obbedito e si è adattato alla relazio­ne costruita dal genitore, subendola; 3- riflettere sulle relazioni amicali: quali relazioni ha instaurato A. con il gruppo di amici?; 4- A. riferisce di sentirsi spesso fuori posto, sbagliato, inadeguato: (in que­sto momento terapeutico) tutto ciò rientra nel suo processo di crescita.

P.S.: nel percorso terapeutico è importante far fare delle esperienze relazionali diverse, considerate strane perché fuori dalla loro normalità (on-off).