Ferrovie, il caso di Reggio Emilia è un episodio isolato o è un tassello della “nuova normalità”?

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“Buttato fuori dal treno con mio figlio disabile perché avevo un biglietto della corsa successiva”.

Il caso finisce in Parlamento: il capogruppo del Movimento 5 Stelle Riccardo Ricciardi annuncia un’interrogazione parlamentare.

La controversia è stata possibile a causa dell’introduzione dell’obbligo di prenotazione per la stragrande maggioranza dei treni regionali, introdotta nel 2020 come “misura sanitaria”  dal governo Conte Bis.

di Andrea Macciò
Venerdì 16 Maggio, stazione di Reggio Emilia. Una famiglia di tre persone, con un bimbo disabile, viene costretta a scendere da un treno regionale da un solerte addetto al “servizio clienti” in quanto in possesso del biglietto per il treno regionale successivo, titolo di viaggio che era stato vidimato alla stazione di Bologna Centrale.
Ci hanno portati in questura e mi hanno denunciato per interruzione di pubblico servizio, mio figlio 10 anni portato in questura perché aveva un biglietto valido ma per un treno che partiva mezz’ora dopo il nostro– afferma Marco Lenzoni, il viaggiatore protagonista di una vicenda che sorprende solo chi non viaggia frequentemente in treno, perché l’introduzione di “regole” sempre più stringenti per i viaggiatori e spesso non chiarissime (che si aggiungono ai disservizi quotidiani) ha reso questi episodi di conflittualità tra clienti e personale sempre più frequenti.
Marco Lenzoni
Per fare delle visite all’ospedale Sant’Orsola di Bologna siamo stati due giorni nella città emiliana, 300 Euro per fare visite ed esami per i quali in Toscana avremmo dovuto aspettare 8 mesi.
Al momento della partenza abbiamo provato a fare il biglietto, avevamo 39 persone davanti, le apposite biglietterie automatiche erano prese d’assalto da centinaia di persone, stavamo per perdere il treno, “fortunatamente” però il treno veniva annunciato con 20 minuti di ritardo e grazie alla gentilezza di due turiste campane che ci hanno fatto passare siamo riusciti ad arrivare in tempo alla biglietteria automatica.
Purtroppo la macchinetta essendo il nostro treno in ritardo, non ci faceva fare il biglietto, il treno per il computer risultava già partito, abbiamo chiesto alla vicina responsabile di Trenitalia che gentilissima ci ha detto di fare il biglietto per il treno seguente e di usare quello facendolo presente al capotreno.
Il treno affollatissimo è partito, il capotreno non si vedeva ma a un certo punto si è visto un signore con una pettorina rossa che voleva vedere i biglietti, sulla pettorina c’era scritto “servizio clienti” continua Lenzoni.
 Marco Lenzoni, che con la sua famiglia era diretto a Berceto perché la linea Parma-Spezia che lo avrebbe portato in Toscana è interrotta per l’ennesima volta per “lavori di potenziamento infrastrutturale” sostiene che l’addetto al servizio clienti gli avrebbe proposto di pagare una multa o di fare un secondo biglietto. Lenzoni afferma di essersi rifiutato di corrispondere la sanzione, in quanto in possesso dei biglietti e in quanto, come accompagnatore di un soggetto disabile, avrebbe potuto anche usufruire della cosiddetta “carta blu” che permette ai titolari di legge 104 e ad un loro accompagnatore di viaggiare gratuitamente, possibilità alla quale aveva scelto di rinunciare.
Aggiungiamo che il biglietto Bologna-Berceto è composto, riporta le prenotazioni dei treni, e la dicitura “valido solo per il giorno e il treno indicato” ma anche la dicitura “da convalidare sul retro” creando confusione sia per i viaggiatori che per il personale.
Sempre secondo la ricostruzione di Lenzoni, nonostante il tentativo di mediazione della polizia ferroviaria, l’addetto al servizio clienti avrebbe voluto a tutti i costi procedere alla denuncia per “interruzione di pubblico servizio” (nonostante sia stato l’addetto stesso a fermare il treno per attendere l’arrivo degli agenti di polizia, e c’è da sottolineare che i tre viaggiatori sarebbero scesi alla stazione successiva, ovvero Parma) e per essersi rifiutato di fornire le proprie generalità a un “pubblico ufficiale”.
Marco Lenzoni sostiene che l’addetto ha richiesto i dati personali alla sola finalità di multare lui e la sua famiglia, in quanto tali operatori assumono qualifica di pubblici ufficiali solo nell’esercizio delle funzioni di controlleria, ed oltre ad aver reso pubblico sui social e sui giornali questo episodio, promette di sporgere contro denuncia nei confronti dell’operatore che lo avrebbe minacciato per convincerlo a scendere di arresto in flagranza per “resistenza a pubblico ufficiale”.
L’azienda come sempre difende se stessa e l’operato dell’addetto al servizio clienti.
I passeggeri – si legge nel comunicato di Trenitalia – erano stati invitati, come loro stessi affermano, ad avvisare il capotreno nel momento dell’ingresso a bordo treno; ciò avrebbe consentito di chiarire subito la loro situazione ed evitare quanto poi accaduto. Una volta riscontrata la mancata regolarità dei biglietti, il personale ha proposto ai passeggeri prima l’acquisto di un nuovo biglietto e poi l’utilizzo del treno successivo (per il quale il biglietto sarebbe stato valido). Entrambe le opzioni sono state rifiutate, come pure la richiesta di fornire un documento di identità al personale che, nell’esercizio delle proprie funzioni, riveste il ruolo di pubblico ufficiale. La conversazione è poi degenerata fino alla minaccia da parte dell’uomo di bloccare il treno mettendosi davanti alla porta di uscita e di chiamare lui stesso le forze dell’ordine. Per questo veniva richiesto l’intervento della Polizia Ferroviaria a Reggio Emilia, che convinceva le persone a scendere permettendo la ripartenza del treno il cui fermo stava anche generando le proteste degli altri passeggeri. Trenitalia Tper ha avviato nell’immediato i necessari approfondimenti per chiarire quanto accaduto”.
Marco Lenzoni sostiene di non essersi mai messo davanti alla porta per impedire la partenza del convoglio, in quanto interessato ad arrivare a destinazione il prima possibile.
Il caso è finito anche in Parlamento, con il capogruppo del Movimento 5 Stelle Riccardo Ricciardi che annuncia un’interrogazione parlamentare e che chiederà al ministro dei trasporti Matteo Salvini di riferire sull’accaduto.
In attesa di conoscere l’esito giudiziario delle rispettive denunce, è necessario chiedersi se siamo di fronte a un fatto isolato, frutto dell’eccesso di zelo di un solerte funzionario, o di fronte all’ennesimo tassello di quella “nuova normalità” che dal 2020 in poi ha trasformato le democrazie liberali “imperfette” di prima in simulacri di sé stesse, con i diritti dei cittadini trasformati in “concessioni” da contrattare con l’addetto di turno.
La controversia è stata possibile a causa dell’introduzione dell’obbligo di prenotazione per la stragrande maggioranza dei treni regionali, introdotta nel 2020 come “misura sanitaria” legata allo stato di emergenza Covid, per garantire il cosiddetto “distanziamento sociale” tra viaggiatori “non congiunti” (salvo deroghe regionali, non era consentito viaggiare accanto a chiunque non fosse convivente) dal governo Conte Bis. E questo andrebbe ricordato all’onorevole Ricciardi, che di quella maggioranza che dispose il lockdown e le altre “misure” era parte integrante assieme al suo movimento, per ricordare chi ha reso possibile tutto questo.
Alcune regioni, ad esempio la Toscana, che gestiscono il trasporto ferroviario dopo la riforma del titolo V, derogarono a questa indicazione e lasciarono la possibilità di acquistare biglietti “aperti” da convalidare. In altre, come Piemonte ed Emilia-Romagna, la prenotazione obbligatoria sui regionali fu estesa a quasi tutti i convogli.
A tre anni e due mesi dalla fine dello stato di emergenza sanitaria, possiamo affermare che ancora una volta, finita l’emergenza resta la “misura” anche se non comprendiamo più le ragioni.
Alcuni dipendenti di Trenitalia sostengono che abbia una “ragione assicurativa” e sarebbe davvero un curioso caso di re-branding, dal distanziamento sociale alle assicurazioni. Quando si acquista un biglietto presso uno sportello, ogni volta gli operatori forniscono ai cittadini una versione diversa, c’è chi dice che l’obbligo di prenotazione non sia derogabile, chi dice che basta convalidare e si può prendere il treno successivo, chi dice che basta convalidare e si può prendere un treno entro quattro ore successive. Tutti dicono che comunque bisogna nel caso chiedere al capotreno, sperando che “ci conceda” di salire sul treno e arrivare a destinazione.
È quasi superfluo aggiungere che in molti casi le persone prendono treni diversi da quelli prenotati a causa dei continui ritardi, disservizi, cancellazioni, scioperi, deviazioni su altre linee.
Un altro caso di re-branding è quello dell’obbligo di fornire un numero di cellulare per comprare un biglietto di un treno a lunga percorrenza, IC o Frecce, introdotto a Novembre 2024 senza neanche emettere un comunicato stampa, semplicemente impedendo al viaggiatore di acquistare il biglietto alla self o in biglietteria senza fornire non solo il nome (il biglietto per i treni a lunga percorrenza è stato introdotto nel 2020, altra misura sanitaria legata allo stato di emergenza), ma anche il numero di cellulare. Di fatto vi è l’obbligo di viaggiare su Ic e Frecce portando con sé un telefono (smartphone o anche un vecchio cellulare con i tasti, ma non è questo il punto) altrimenti si può rischiare di essere buttati fuori dal treno.
La “misura” nata come tracciamento sanitario nel 2020 (ma il numero di telefono restava comunque facoltativo per i cartacei, mentre per i biglietti digitali si può fornire in alternativa l’e-mail) oggi viene rivenduta come “smart caring” a tutela del cliente che può essere avvisato di eventuali ritardi.
Davvero curioso che un cittadino sia obbligato ad auto-tutelarsi fornendo a un’azienda di trasporto pubblico dati sensibili che potrebbero peraltro essere nuovamente usati a fini di tracciamento, e sarebbe interessante capire qual è la vera motivazione di questa nuova “stretta” e se i controllori dei treni a lunga percorrenza hanno la facoltà di chiedere ai viaggiatori di “esibire” il loro telefono cellulare.
Dal 2021, in occasione dell’introduzione del green pass, è stato introdotto anche l’obbligo di “accettare le condizioni di trasporto del vettore” al momento di acquistare qualsiasi tipo di biglietto, probabilmente per ridurre il rischio di eventuali contestazioni dei viaggiatori non in possesso del green pass stesso. Ricordiamo numerosi casi di persone costrette a scendere dai treni perché non in possesso della tessera vaccinale, spesso cittadini stranieri magari anche vaccinati, ma non in possesso del QR Code richiesto dallo stato italiano.
Ma è dal 2016, quando fu abolito il biglietto regionale da convalidare valido due mesi sostituito da quello valido solo il giorno del viaggio e non modificabile il giorno della partenza, che i viaggiatori sono sottoposti a un incessante peggioramento delle loro condizioni.
Per completare il quadro, negli ultimi mesi è stata portata avanti una massiccia campagna mediatica sulle “aggressioni ai controllori” nei quali il personale ferroviario è dipinto come la vittima preferita di viaggiatori considerati “presunti colpevoli” a prescindere.
Una campagna partita da alcuni fatti reali, sui quali peraltro attendiamo ancora una verità giudiziaria definitiva, come quello accaduto alla stazione ferroviaria di Genova Rivarolo lo scorso autunno, ma che omette che la stragrande maggioranza dei viaggiatori sta zitta e paga, i biglietti “giusti” e anche le multe per biglietti “non prenotati” sui regionali, per un servizio sempre peggiore in un clima sempre peggiore, visto che in un’ora di viaggio viene mediamente ricordato dieci volte dal sistema di diffusione sonora che “il personale assume la qualifica di pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni di controllo e verifica del biglietto” a scoraggiare in maniera velatamente minacciosa non solo l’evasione, ma anche le legittime contestazioni per abusi e disservizi.
E la campagna contro “la violenza sui treni”  sostenuta da alcuni sindacati e da alcune associazioni dei consumatori (come quella contro le aggressioni ai sanitari) ha creato un clima sociale di grande consenso a questo approccio repressivo, nel quale molti chiedono più tornelli, più telecamere, più repressione, più controlli, più poteri di polizia per il personale ferroviario: è capitato a chi scrive di sentire un dipendente dell’azienda ferroviaria sostenere che dovrebbe essere riconosciuto ai capitreno il diritto di “girare armati”.
Perché i sindacati e le associazioni di consumatori non chiedono di cancellare la prenotazione obbligatoria sui regionali, per diminuire le possibilità di conflitto tra lavoratori e viaggiatori, invece di colpevolizzare esclusivamente questi ultimi?
Perché la cosiddetta “contro-informazione” è impegnatissima a fare il “debunking dei femminicidi” fino a negare un problema sociale gravissimo del quale abbiamo riscontri quasi quotidiani, ma tace su questi temi, assieme a tutti i suoi influencer?
E’ certo che la campagna mediatica è servita a lanciare il cosiddetto Ddl sicurezza” promosso dal governo Meloni e del quale il ministro dei trasporti Salvini è grande sponsor, che prevede un aggravio delle pene per “interruzione di pubblico servizio” arresti in flagranza, ulteriori aggravi per i reati commessi contro “pubblici ufficiali (ma i cittadini non erano tutti uguali davanti alla legge?) e per i blocchi stradali in occasione di scioperi o manifestazioni, e una stretta repressiva generale in nome della “sicurezza”.
Quella della nuova normalità autoritaria è vaso di Pandora aperto dal centrosinistra guidato da Conte in nome della lotta al virus e dei pretesti sanitari, e continuato dalla destra guidata da Meloni in nome della “sicurezza”.
Oggi il trasporto ferroviario è gestito sempre meno con la logica del servizio pubblico e sempre più con quella privatistica del profitto, con personale meno esperto e formato e funzioni delicate come quella di controlleria affidate a soggetti promossi per l’occasione a “pubblici ufficiali” come gli addetti all’assistenza clienti, che in teoria dovrebbero informare e assistere i clienti in caso di disservizi e non multarli.
Nello stesso tempo, l’azienda ferroviaria italiana agisce di fatto in un regime di monopolio e quindi non è possibile scegliere di viaggiare con altra compagnia, se non per le poche tratte AV gestite da Italo. Un paradosso, che mette insieme i difetti del pubblico e del privato, del socialismo e del liberismo.
E non vi è dubbio che senza lo stato di eccezione per la “pandemia”, senza la campagna mediatica per creare consenso attorno al Ddl sicurezza, senza la partecipazione per ora indiretta dell’Italia a conflitti bellici e il ritorno della retorica bellicista e del riarmo, senza la progressiva militarizzazione del trasporto ferroviario, della sanità, e forse prossimamente della scuola (da alcuni giorni compaiono notizie sulle “aggressioni ai dirigenti scolastici”) un episodio come quello di Reggio Emilia non sarebbe stato possibile, o almeno sarebbe stato archiviato senza nessuna denuncia penale per il viaggiatore.
Diritti trasformati in concessioni e alcune categorie professionali che hanno ragione a prescindere, privilegio che sembra “concesso” come risarcimento per il peggioramento delle condizioni di lavoro, tornelli, telecamere, lavoratori pubblici con poteri diffusi di polizia, stato di emergenza permanente.
È davvero questa la nuova normalità che vogliamo o siamo ancora in tempo per restare umani?