Erri De Luca tuona: “L’immigrazione non è un mostro”

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Partenopeo trapiantato nel nostro comprensorio, lo scrittore è stato protagonista di un interessante incontro letterario a Ladispoli di Giovanni Zucconi

Sono molti gli scrittori che si leggono con piacere, ma sono pochi quelli che si amano veramente. Questo perché per provare affetto per uno scrittore devi prima amarlo anche come persona. Devi conoscerne anche l’aspetto, il viso e le mani. Devi averlo visto scendere tra la gente che lui racconta, e prenderne le difese in prima persona. Deve essere un volto e una presenza, oltre che delle belle frasi scritte sulle pagine di un libro. E, oltre ad Erri De Luca, non mi viene in mente nessuno con queste caratteristiche tra i romanzieri italiani viventi. Sarà anche per questo che la scorsa settimana, nell’incontro organizzato da Scritti & Manoscritti di Ladispoli, gli ammiratori di Erri De Luca sono accorsi in massa, riempiendo fino all’inverosimile la libreria. L’occasione è stata la presentazione del suo ultimo libro: “Diavoli custodi”. Un libro, lo diciamo subito, che non può mancare nella libreria degli ammiratori di Enrico De Luca (questo è il suo nome all’anagrafe). Ma è anche un libro, se vogliamo essere obiettivi, palesemente frutto di un’operazione editoriale pensata a tavolino da la Feltrinelli. E, purtroppo, neanche pensata troppo bene. Cosa si sono inventati i responsabili di prodotto della casa editrice? Prendiamo un autore amato dai nostri lettori, e affianchiamolo ad Alessandro Mendini, un architetto e designer italiano molto quotato con la passione del disegno. Facciamo fare dei disegni a Mendini, e chiediamo a De Luca di scrivere una testo ispirato da ognuno questi. Il risultato di questo ibrido innaturale e forzato, è una serie di bellissimi pezzi scritti da Erri De Luca, lunghi non più di una pagine del libro, tutti godibili e da centellinare, parola per parola, ma che poco o niente c’entrano con i disegni posti a fianco. Questo, a mio parere poco riuscito esperimento editoriale, nulla toglie al valere intrinseco del libro, che ho letto con vero piacere, e con il dispiacere di vedere man mano diminuire le pagine che rimanevano ancora leggere. Come ho anticipato, eravamo presenti alla presentazione del suo libro da Scritti & Manoscritti, e abbiamo avuto quindi il piacere e l’onore di intervistare Erri De Luca.

Maestro, il suo ultimo libro parla dei mostri che ci accompagnano nei sogni e nella veglia. Lei è napoletano, e Napoli è anche una città sotterranea oltre che di superfice. Ci sono leggende che parlano dei cosiddetti “monacelli”, che erano i bambini morti trovati nei sotterranei della città, e che ritornavano come fantasmini a spaventare i bambini napoletani. Questi mostri accompagnano ancora i suoi sogni e quelli dei Napoletani?

“I miei sogni no. Non sarebbe possibile perché il mio è un sonno “minerale”, di sasso. I miei mostri li ho sempre vissuti nella veglia, e li ho affrontatati da sveglio. Ha ragione a dire che Napoli ha una forte componente sotterranea. Napoli sotto è vuota, come sopra è densa. E’ questo è simbolico per me: Napoli è una città doppia. Tutto quello che vedi in superficie ha un sottofondo, gli corrisponde una caverna. E questo vale anche per i Napoletani.”

Adesso però vive in provincia di Roma, vicino al lago di Bracciano

“La differenza tra Napoli e Roma è che in quest’ultima puoi viverci un sacco di tempo senza che nessuno si accorga che tu ci sei. Nessuno fa caso a te. Se invece tu arrivi a Napoli e attraversi una strada o un vicolo, anche se sembra che nessuno ti abbia osservato, alla fine del vicolo ti possono rilasciare una radiografia. Sanno chi sei, da dove vieni, in quale tasca tieni i soldi, quanti ne tieni… Napoli è una città dove la clandestinità è impossibile.”

Lei è uno scrittore famoso, e per me scrivere rappresenta un grande privilegio, perché ti permette di poter affrontare qualsiasi tema e condividere a tutti la propria opinione. Opinione che poi viene letta e contribuisce a formare, dall’alto della sua autorevolezza, le coscienze dei suoi lettori. Quando lei dice qualcosa, in molti la stanno ad ascoltare… Non sente questa responsabilità quando scrive? Non ha paura di dire o scrivere qualcosa che potrebbe essere sbagliato o troppo personale?

“Io faccio lo scrittore e racconto storie. Il fatto di essere stasera a Ladispoli è certamente un privilegio per me. Ci sono delle persone che si sono mosse da casa, hanno perso il loro tempo per venire a sentirmi raccontare delle storie. Questo è sicuramente un privilegio. Ma la mia responsabilità consiste solo in questo. Di essere all’altezza delle aspettative delle persone che si sono spostate di casa per venirmi a sentire. Poi, come tutti i cittadini, se sono cittadini, ho delle convinzioni, delle opinioni. E le manifesto. Ma non le manifesto nei miei libri. Non scrivo storie per dimostrare le mie convinzioni. Le manifesto in ogni occasione nei posti pubblici, o nei canali informatici. Ma questo fa parte della mia responsabilità di cittadino, non di scrittore. Io sento la responsabilità di essere cittadino. Per me cittadino è uno che sente di essere su una nave come membro dell’equipaggio e non come passeggero. E poi sente anche di dovere gratitudine, e quindi responsabilità, a posto in cui è nato e cresciuto. Di dovere fare qualcosa per il posto in cui vive. Quindi quando affermo le mie opinioni o le mie convinzioni non intendo essere condiviso. Dico la mia e basta.”

Si spieghi meglio

“Quello che ho imparato da un intellettuale come Pasolini, è che si poteva avere delle opinioni differenti dalle sue. Lui comunicava una sua opinione, la fissava, e poi permetteva a me di fabbricarne una mia diversa, o in piccole sfumature o radicalmente differente. Ma il mio convincimento nasceva dallo stimolo che mi dava la sua opinione. Neanche lui scriveva per essere condiviso, ma per stabilire una specie di confine di un ragionamento. E tu potevi prendere o meno le distanze da quel confine.”

Un ultima domanda. Lei oggi ci ha parlato di mostri. Un mostro dei nostri giorni è quello dell’immigrazione. Da molti, in Italia, viene vissuta con paura e inquietudine.

“Innanzitutto l’immigrazione non è un mostro. Ma è un mostro il modo in cui ci comportiamo nei confronti di questo fenomeno”.