ELETTROSMOG KILLER, LA LEGGE RENDE IMPUNIBILI LE MULTINAZIONALI

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IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE È UNA PRESA PER I FONDELLI: IL CITTADINO DEVE PRIMA AMMALARSI E POI DIMOSTRARE LA CORRELAZIONE.

di MAURIZIO MARTUCCI

Segnalazioni a raffica, sempre più persone mi riferiscono di stare male. E pure tanto. Sta male chi abita in prossimità di un’antenna o, contro la sua volontà, è costretto a subirne addosso al corpo l’irraggiamento.

Mai come in questi ultimi mesi ne avevo ricevute così tante. Chi dice di sentirsi bruciori sotto la pelle, chi accusa tachicardia, stordimento, chi malessere diffuso o si scopre nel tunnel della sindrome da microonde.

Con l’implementazione del 5G e la recente legalizzazione dell’innalzamento dei limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico, la questione è poi esplosa in tutta Italia. Nella colpevole indifferenza e complicità del legislatore. Si, perché il problema elettrosmog è anche legislativo: al contrario di come allegramente si vorrebbe far credere, la legge non è affatto protettiva né cautelativa verso i cittadini, anzi, è ampiamente permissiva nei confronti delle multinazionali che usano agenti invisibili altamente pericolosi per ambiente e umanità.

La prova è nei fatti: se non un rompicapo, il principio di precauzione è letteralmente un eufemismo, quello di prevenzione del danno semplicemente inapplicato.

Decenni di pronunciamenti della magistratura hanno infatti consolidato una posizione ambigua. E’ vero che alcune ordinanze sono innovative e all’avanguardia nel mondo, come il riconoscimento del nesso causale con l’elettrosmog nell’insorgenza del neurinoma del nervo acustico o l’annosa vicenda di Radio Vaticana che nel diritto ha fatto scuola.

Ma da un’attenta analisi della legislazione comunitaria e nazionale, passando per le sentenze di giudici civili, penali e amministrativi, è evidente come rifacendosi alla giurisprudenza si incappi in una situazione a dir poco anomala, nonostante la scienza (indipendente dalla lobby) da decenni certifichi la nocività del wireless.

Scienza non conflitta da interessi, da cui la magistratura – come ha giustamente evidenziato la Corte d’Appello di Torino nel 2020 – nelle perizie tecniche dovrebbe attingere per fare giurisprudenza.

In assenza di un vero e proprio reato penale da elettrosmog con l’individuazione di eque pene commisurate alla consumazione del danno contro ambiente, persone e animali, ci sono comunque pronunciamenti della Corte Suprema di Cassazione – azione penale – che individuano casi di elettromagnetismo come violazione dell’articolo 674 del codice penale, cioé getto pericoloso di cose (pena risibile, arresto fino a un mese o ammenda fino a euro 206 euro). Noto come la Cassazione sia l’ultimo grado di giudizio previsto dall’ordinamento italiano come giudice di legittimità di ultima istanza delle sentenze emesse dalla magistratura ordinaria, con due diverse sentenze (2009 e 2010) la Cassazione chiarisce come la configurazione del reato d’inquinamento elettromagnetico non si rappresenta astrattamente in base al mero superamento dei limiti soglia (esempio, sforare nelle 24 ore la media dei 15 V/m), ma dalla prova dell’idoneità delle onde elettromagnetiche “ad offendere o molestare persone“.

Questo vuol dire che “il reato è configurabile soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento da compiersi in concreto di un effettivo pericolo oggettivo, e non meramente soggettivo.” Cioè, il pericolo e il danno cagionato vanno provati, come provato deve pure essere la “prova di una volontà consapevole del soggetto di concorrere alla creazione di un campo complessivo che ecceda i limiti.”

Provare il danno, ma allora uno potrebbe chiedersi: devo aspettare di avere un tumore e poi riuscire a provarlo in giudizio nella correlazione con l’irradiamento di una stazione radio base?

Cioè prima devo ammalarmi e rischiare di morire per trovare l’accoglimento dei miei diritti? E la precauzione? Come la mettiamo?

Ecco, proprio qui entra in ballo il discorso della precauzione, invocato a più riprese da attivisti Stop5G. Per capire com’è messa la situazione e perché si accusano le istituzioni di disapplicarlo, leggete bene qua.

È un altro caso di scuola. Fa capire bene il ragionamento giuridico. “L’amministrazione ha individuato nella realizzazione del progetto in esame rischi del tutto astratto-ipotetici (la qual cosa già implica di per sé l’illegittimità del suo modus operandi), a prescindere dall’attuazione di eventuali misure di salvaguardia, da essa neanche ipotizzate” sentenzia il 16/10/2023 (n. 1134) la sezione prima del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per la Puglia in un ricorso in favore di Telecom Italia contro il Comune di Morciano di Leuca (Lecce) che con un’ordinanza sindacale aveva vietato il 5G in applicazione del principio di precauzione sancito dell’Unione europea.

“La Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 – chiarisce il giudice amministrativo – fornisce indicazioni di indirizzo in merito alle condizioni di applicazione del principio di precauzione, individuandole nelle due seguenti:

a) la sussistenza di indicazioni ricavate da una valutazione scientifica oggettiva, che consentano di dedurre ragionevolmente l’esistenza di un rischio per l’ambiente o la salute umana;

b) una situazione di incertezza scientifica oggettiva che riguardi l’entità o la gestione del rischio, tale per cui non possano determinarsene con esattezza la portata e gli effetti.

Nella prospettiva della Commissione Europea, l’azione precauzionale pertanto giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un “ragionamento rigorosamente logico” e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla portata del suddetto rischio”.

E, conclude il TAR Puglia, “nella fattispecie in esame, non è stata compiuta alcuna verifica, di alcun tipo, dalla quale inferirsi la portata astrattamente pericolosa dell’installazione dell’impianto in esame”.

In sostanza, il principio di precauzione è una presa per i fondelli perché inapplicabile se non prima dimostrato, essendo per altro già recepito nelle raccomandazioni dell’Europa che adotta le linee guida della controversa associazione privatistica Commissione Internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP) fissando il limite da non superare ne 61 V/m.
Capito come funziona la legge italiana?