Lo scorso 26 settembre il Tribunale civile di Asti in primo grado ha riconosciuto il nesso causale tra la vaccinazione anticovid e un grave danno neurologico, permanente e irreversibile – la mielite trasversa – che ha colpito una donna di 52 anni a due settimane dalla somministrazione della seconda dose del vaccino Comirnaty, prodotto da Pfizer-Biontech.
Alla donna, titolare di una tabaccheria ad Alba (Cuneo) e che oggi non è più in grado di camminare, è stato riconosciuto un indennizzo di 3 mila euro al mese dopo un lungo iter burocratico e il Ministero della Salute condannato al riconoscimento del legame. Nella sentenza viene citato il database dell’Aifa, che riporta 593 casi di mielite trasversa registrati dopo la vaccinazione fino al 2022, di cui 280 associati ai vaccini a mRna.
Dopo anni di negazionismo del danno vaccinale questa sentenza può sembrare una grande vittoria, e per tale ragione è stata definita da molti come una luce in fondo al tunnel. Ciò che si spera è che da qui in poi possano aprirsi una valanga di contenziosi con esito favorevole per i danneggiati. In realtà c’è ben poco da festeggiare. Almeno per ora.
E per diverse ragioni.
In primo luogo è una sentenza di primo grado ed è molto probabile che Ministero della Salute ed Aifa facciano ricorso.
In secondo luogo non c’è indennizzo al mondo che possa compensare un danno fisico di tale portata.
In terzo luogo, ad essere determinante per la decisione del Tribunale di Asti è stata la ridotta distanza temporale tra la vaccinazione e la comparsa dei sintomi pertanto tutti coloro che hanno avuto danni che sono comparsi a mesi di distanza dalla vaccinazione difficilmente potranno veder riconoscere il nesso causale.
Inoltre ancor oggi, come ha spiegato il farmacologo Marco Cosentino “sono disconosciuti molteplici effetti farmaco tossicologici degli RNA modificati, delle particelle lipidiche e della proteina spike che ne origina anche grazie all’inaccessibilità di tutti questi prodotti che non consente a chi ne sarebbe attrezzato per studiarne gli effetti di farlo.
Ovvio che con queste premesse si finisce per attribuire a questi vaccini solo i danni che si verificano un minuto dopo l’inoculo, mentre l’ago è ancora conficcato, e talora nemmeno questi. E risulta facile ignorare un enorme numero di danneggiati [..] Per non menzionare i decessi, ancor più facili da accantonare dato che chi vive non vede l’ora di darsi pace, ma anche chi pace non se la dà non è chiaro cosa potrebbe fare”.
Rammentiamo inoltre che l’OMS impone una “finestra temporale” tra vaccino e evento avverso, finestra che non va mai oltre qualche settimana. Ma i vaccini Covid -19 si distribuiscono in tutto l’organismo e possono persistere in qualsiasi sede anche per mesi. Tuttavia la ragione principale per cui c’è ben poco da esultare, risiede nel fatto che quella di Asti non è una sentenza penale in virtù della quale i responsabili di un vaccino rischioso, spacciato come sicuro ed efficace, vengono condannati.
Non vengono condannati i produttori, né gli enti regolatori che lo hanno approvato sulla base di studi controversi e non sufficienti, non i vertici della politica che lo hanno reso obbligatorio e prerequisito per esercitare diritti essenziali come il lavoro. La sentenza non mette in discussione il diritto dello Stato di imporre per obbligo o con un ricatto un prodotto potenzialmente pericoloso in grado di distruggerti la vita. Ma semplicemente, sulla base di una legge del ’92 – aggiornata qualche anno fa – sugli indennizzi per i danneggiati da vaccino obbligatorio (o per trasfusioni) riconosce un indennizzo economico per i danni irreversibili subiti in seguito ad un atto ritenuto lecito. Ben diverso sarebbe il riconoscimento di risarcimento dovuto per un illecito o meglio per un crimine.
La sentenza del Tribunale civile di Asti dunque non intacca minimamente la gestione pandemica e meno che mai gli obblighi vaccinali con i prodotti mRna, ma piuttosto li normalizza.
A confermare di ciò dopo soli tre giorni dalla sentenza di Asti, il 29 settembre 2025, è stata pubblicata la sentenza n. 16802/2025, con cui Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso di centinaia di lavoratori della scuola contro l’obbligo vaccinale anti-Covid imposto dal Ministero dell’Istruzione a dicembre 2021, ritenendo quell’obbligo legittimo.
La decisione segue pedissequamente la linea dettata dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 14 e 15 del 2023 sugli obblighi vaccinali imposti ai sanitari. Secondo il Tar del Lazio l’imposizione dell’obbligo vaccinale attiene al principio di solidarietà, che rappresenta “la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente”.
In base a tale principio, il diritto alla salute individuale viene limitato (o piuttosto soccombe) in nome dell’interesse della collettività. Il TAR ha stabilito che il rischio di eventi avversi anche gravi non rende di per sé illegittimo l’obbligo vaccinale, precisando che fino a quando lo sviluppo della scienza medica non consentirà la totale eliminazione di tale rischio, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario rientra nella sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera “non irragionevole”: Da questa sentenza si evince che il muro della menzogna del vaccino altruistico non è mai crollato anzi continua a fortificarsi la balla draghiana “non ti vaccini, ti contagi, muori e fai morire”, in barba alla verità arcinota dalla primavera 2021 che la protezione offerta dai vaccini anti-SARS-CoV-2 non è in grado di garantire la prevenzione della trasmissione.
Ma, cosa ancor più inquietante, viene sancito il diritto dello Stato di fare carne di porco della salute della persona con il pretesto di un presunto interesse collettivo, viene ratificata la trasformazione della discrezionalità del legislatore in arbitrio sul corpo del cittadino. Imporre un trattamento sanitario riconosciuto come potenzialmente pericoloso equivale a ridurre la persona a mezzo della collettività.
Siamo alla negazione assoluta non solo della libertà ma della dignità della persona. Come giustamente nota Paolo Puccetti professore di farmacologia che da anni si occupa di bioetica, l’indennizzo “non sana la violazione del diritto” e “nessuna compensazione può rimediare alla perdita dell’autodeterminazione corporea. [..] In nome di una “ragionevolezza” sempre più elastica, questa giurisprudenza ha finito per normalizzare l’idea che lo Stato possa imporre un rischio di danno grave, purché lo faccia con buone intenzioni. Ma uno Stato di diritto non si fonda sull’obbedienza, bensì sul limite del potere e sulla tutela della persona. La salute pubblica non si difende sacrificando quella individuale”.
di Miriam alborghetti






























































