C’era una volta Cerenova…

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Correva l’inizio degli anni Settanta. A un chilometro dal mare, prospiciente la via Aurelia, era sorta Cerenova Costantica: un grande complesso residenziale fatto di ville bianche in stile mediterraneo.

Ogni gruppo di villette aveva, (e per fortuna ha ancora), una piscina condominiale, campi da tennis erano disseminati in punti strategici, e ciò che colpiva di più era l’urbanistica: moderna, innovativa, all’avanguardia. Le rotonde sostituivano i semafori, le strade erano ampie, i marciapiedi larghi e rifiniti in travertino, i viali maestosi e alberati. Non mancavano tre centri commerciali, pensati come cuore pulsante della nuova cittadina. Pulizia, ordine e verde curato erano garantiti da un consorzio privato che si occupava di manutenzione e irrigazione: un vero paradiso, un “fiore all’occhiello” del litorale laziale.

Poi il contratto ventennale del consorzio non fu rinnovato – la motivazione ufficiale parlava di presunti illeciti, mai chiariti. Intanto Cerenova, che aveva il vantaggio di una stazione ferroviaria al centro del paese, cresceva e si popolava. Ma la più grande disgrazia fu la gestione affidata al Comune di Cerveteri. Da lì cominciò il declino.

Il tempo, senza manutenzione, è impietoso: le strade iniziarono a devastarsi, riasfaltature inesistenti, solo qualche buca rattoppata quando ormai diventava una voragine. I prati verdi abbandonati, tagliati due volte l’anno “per pietà”, l’irrigazione scomparsa: d’estate, uno scenario di desertificazione. I marciapiedi in travertino (che anni dopo il Comune di Cerveteri avrebbe fatto rimuovere per sostituirli con tristi marciapiedi in cemento, oggi ridotti a pezzi). Erbacce selvatiche si trasformarono in cespugli e alberelli che invadono i bordi delle strade.

L’ingresso di quella che un tempo era una cittadina modello oggi è un deserto spoglio. I centri commerciali hanno pavimenti che gridano vendetta, senza un servizio di pulizia. Qua e là spuntano discariche a cielo aperto.

Negli anni si sono succedute diverse amministrazioni comunali, ora di destra, ora di sinistra – sempre che ci si voglia ancora illudere che queste due ideologie abbiano davvero un peso nei contesti attuali. Ma i risultati, purtroppo, sono stati sempre pessimi: incuria, abbandono, scelte scellerate. Nessuno ha saputo o voluto preservare ciò che Cerenova rappresentava. E da qualche anno, lo scempio più doloroso: l’abbattimento sistematico degli alberi secolari, platani, pioppi, eucalipti, sotto la spudorata scusa che siano “malati”.

Giganti che per cinquant’anni hanno custodito le nostre strade, ora cadono uno dopo l’altro, sostituiti da pochi e rachitici arbusti, destinati a morire senza cure. Così Cerenova, nata come sogno luminoso di bellezza e modernità, è stata consegnata al degrado, all’abbandono e all’incuria.

Io vivo a Cerenova dal 1977. Avevo appena 15 anni quando, con la mia famiglia, ci siamo trasferiti in quello che allora era un posto meraviglioso, moderno, elegante, unico nel suo genere. Oggi ho 63 anni, e vivo ancora qui, perché qui sono i miei affetti, la mia storia, le mie radici. Ma sono disgustata e addolorata di aver assistito, anno dopo anno, all’inesorabile degrado di una cittadina che poteva – e doveva – essere un modello. Sono nostalgica? Sì, lo ammetto. Ma la mia non è una nostalgia sterile: è il grido di chi ricorda cos’era e vede cos’è diventata.

«Forse non riavrò mai la Cerenova che ho conosciuto a 15 anni, con i suoi viali ombrosi e i prati verdi. Ma spero che almeno i miei nipoti possano vivere in un luogo curato, rispettato e amato, come meritava di essere fin dall’inizio.» «Non possiamo restare sempre a guardare. È ora di dire basta a questo scempio, di pretendere rispetto. «Quello che è stato fatto a Cerenova è un delitto contro l’ambiente e contro i cittadini. E chi ha permesso questo degrado dovrà prima o poi risponderne. La memoria resta, e noi non dimentichiamo.»

Maria Patrizia Lo Bartolo