CASO VANNINI:CHIESTA ARCHIVIAZIONE SUL PM CHE INDAGÒ SULL’OMICIDIO

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ORA LA PALLA ALLA SEZIONE DISCIPLINARE DEL CSM. ERA STATOIL MINISTRO BONAFEDE AD AVANZARE UN PROVVEDIMENTOCONTRO IL SOSTITUTO PROCURATORE ALESSANDRA D’AMORE.

Lo scorso 17 febbraio era entrata presto di mattina al Palazzaccio di Roma per essere interrogata sul caso Vannini. All’uscita aveva eluso i cronisti andando via con il suo autista poco prima di mezzogiorno. Alessandra D’Amore, il pm del caso Vannini finita nel mirino del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ora tira un sospiro di sollievo dopo l’archiviazione chiesta dalla Procura Generale della Cassazione. Per la magistratura in pratica non avrebbe agito con “negligenza”, come invece sostenuto da Bonafede. Proprio il Guardasigilli aveva avanzato la richiesta di un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato, perché, avrebbe ritenuto, che le attività investigative relative al ragazzo di Cerveteri, ucciso con un colpo di pistola il 17 maggio 2015 a casa dei genitori della fidanzata, fossero state “superficiali”. Bonafede lo scorso anno aveva persino mandato i suoi ispettori nella procura di Civitavecchia. Il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, aveva sentito Alessandra D’Amore, assistita dal suo difensore e procuratore aggiunto di Roma, Stefano Pesci. Poi era stata la volta di Gianfranco Amendola, procuratore capo di Civitavecchia nel 2015 (ora in pensione), convocato come persona informata sui fatti.

D’Amore attualmente è in forza alla procura generale di Roma dopo essere stata in servizio per oltre 10 anni a Civitavecchia. La richiesta di archiviazione verrà ora esaminata dalla sezione disciplinare del Csm che potrebbe così mettere la parola fine alla vicenda relativa al provvedimento chiesto da Bonafede, travolto nell’ultimo periodo dalle polemiche e soprattutto da una mozione di sfiducia comunque poi respinta in Parlamento per il caso delle scarcerazioni dei boss. In questi anni si è sempre discusso ad esempio sul fatto che la villa Ciontoli non fu mai posta sotto sequestro. Non venne neanche adoperato il luminol dai carabinieri di Civitavecchia e Ladispoli, strumento utile per evidenziare la presenza o meno di tracce ematiche sulla scena del crimine, in questo caso il bagno. Come ribadito più volte da Luciano Garofano, ex generale dei Ris e consulente tecnico della famiglia Vannini, non gli fu concesso di entrare nella villetta di via Alcide De Gasperi per effettuare dei rilievi.

Inoltre i carabinieri non sentirono nemmeno tutti i vicini di casa Ciontoli. Interrogativi sempre sollevati dai genitori di Marco Vannini. Il prossimo 8 luglio si tornerà in aula per l’appello-bis come stabilito dalla Cassazione lo scorso febbraio. Rischia 14 anni di carcere per omicidio volontario l’intera famiglia presente in casa quando Marco venne ferito mortalmente. A cominciare da chi ha premuto il grilletto, il sottoufficiale della Marina con un ruolo nei servizi Antonio Ciontoli, poi la moglie Maria Pezzillo e i figli, Martina e Federico.