Attacchi di panico ed agorafobia

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a cura di Dottor Riccardo Coco – Psicologo – Psicoterapeuta

Dottor Riccardo Coco
Psicologo – Psicoterapeuta

Gli attacchi di panico fanno parte della categoria dei disturbi d’ansia così come le fobie (delle paure irrazionali). Ciò vuol dire che il comune denominatore di questi due disturbi è l’ansia che ne sta alla base.

È pertanto comprensibile che fobie ed attacchi di panico si presentino spesso associati. Tra le fobie che più frequentemente si presentano associate con il disturbo da attacchi di panico ci sono l’agorafobia, l’ipocondria e le angosce di morte.

Delle ultime 2 ne ho già parlato in un precedente articolo (attacchi di panico, ipocondria ed angosce di morte, chi volesse approfondire può andare sul sito www.riccardococo.net, sezione articoli); per cui qui tratterò solo dell’agorafobia.

Essa, letteralmente “paura della piazza”, è la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o comunque in ampi spazi aperti, in cui è difficile scappare o comunque ricevere soccorso nel caso di una nuova crisi di panico.

L’angoscia è dovuta al timore di non riuscire a controllare la situazione; il che porta la persona a desiderare una via di fuga immediata verso un luogo da lui reputato più sicuro.

L’agorafobia può presentarsi anche senza il disturbo da attacchi di panico associato, ma il più delle volte è una conseguenza degli attacchi di panico stessi, cioè una problematica che sorge secondariamente ad essi: si instaura quando il soggetto che ha avuto forti crisi di ansia/panico comincia ad evitare tutti quei luoghi, situazioni e contesti in cui ci potrebbero essere ostacoli alla possibilità di esser soccorsi in caso di crisi d’ansia.

Tra le situazioni che più frequentemente vengono evitate vi sono: stare in spazi aperti (piazze, mercati, parcheggi, etc.), stare in spazi chiusi (aspetto claustrofobico: ascensori, cinema, etc.), utilizzare mezzi di trasporto (aerei, metro, autoveicoli, specie se da soli), stare in file o in mezzo alla folla, stare fuori di casa da soli o stare in casa da soli (aspetto claustrofobico).

Questi evitamenti si può immaginare come compromettano gravemente le attività quotidiane ed il funzionamento socio-lavorativo della persona. Evitare le situazioni temute abbassa subito l’ansia e ciò però innesca un circolo vizioso poiché viene rinforzato proprio il comportamento di evitamento stesso, il che mantiene il problema.

Oltre all’evitamento un’altra strategia protettiva adottata dal soggetto è quella di affrontare le situazioni temute con un “accompagnatore”; una persona “di fiducia”, ovvero qualcuno che dia la sensazione al soggetto che egli/lei sarà in grado di aiutarlo e tranquillizzarlo in caso di crisi di panico.

Anche questa soluzione però non è funzionale sul lungo termine poiché mantiene e rinforza il problema; in più rende il soggetto disfunzionalmente dipendente dall’accompagnatore. Sulle terapie utili da adottare i clinici si dividono nettamente.

E’ un fatto tuttavia che diversi tipi di psicoterapia si sono rivelati utili, associati o meno alla farmacoterapia.

Quest’ultima è certo utile, ma ha un senso a parer mio (e sono in buona corposa compagnia) solo se “di appoggio” ad una psicoterapia, che è il principale strumento di cambiamento e cura, sempre se per “cura” intendiamo non la mera scomparsa dei sintomi (che tendono a ricomparire una volta interrotta la terapia farmacologica), ma l’affrontare e risolvere le cause profonde del disturbo psichico.

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