5GATE, CORRUZIONE E ARRESTI AL PARLAMENTO EUROPEO

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5GATE

TRANSIZIONE DIGITALE E TELEFONIA MOBILE, UNA LUNGA STORIA DI SCANDALI E MAZZETTE.

Di Maurizio Marcucci

Regali, viaggi, biglietti per lo stadio e bonifici trasformati in corruzione attiva, falsificazione di documenti, associazione a delinquere e riciclaggio di denaro: 5Gate, uno scandalo di mazzette e torbido lobbismo dalle proporzioni internazionali si sta abbattendo sul Parlamento europeo e riguarda la transizione digitale e la telefonia mobile. Il giudice istruttore della Procura federale di Bruxelles ha disposto centinaia di perquisizioni tra Bruxelles, la Vallonia e le Fiandre e l’arresto di quattro persone, sospettato il coinvolgimento di una quindicina tra europarlamentari ed ex che -in cambio di favori politici dai vertici dell’Unione europea che indirizza gli Stati membri sulla digitalizzazione – sarebbero stati ‘alleggeriti‘ da Huawei, il colosso cinese del 5G.

L’accusa di presunta corruzione è partita da un’operazione di intelligence degli 007 belgi che hanno indagato sul giro di soldi e favori cominciato nel 2021, in pieno lancio 5G e nella Guerra fredda 2.0 tra Cina e USA, quando Conte e Draghi applicavano il veto del golden power alle aziende orientali. Le operazioni degli inquirenti hanno coinvolto 100 agenti federali nel blitz e riguardano Belgio, Francia e Portogallo ma tocca anche l’Italia, tanto che i magistrati stranieri avrebbero chiesto la collaborazione di quelli italiani.

Tra gli arrestati ci sono infatti il lobbista italo-belga Valerio Ottati (dirigente pei cinesi, ex assistente di due europarlamentari del Partito popolare europeo e Partito democratico, è lui al centro dello scandalo) e Lucia Simeone (arrestata a Caserta, è la segretaria dell’europarlamentare Fulvio Martusciello, capodelegazione di Forza Italia, ufficio temporaneamente sequestrato pure all’eurodeputato forzista Marco Falcone che però si dice estraneo). Secondo indiscrezioni, sarebbe coinvolto anche un altro rappresentante italiano di Huawei.

Il portavoce della Commissione Europea Thomas Regnier sostiene che Huawei sia “un rischio maggiore rispetto ad altri fornitori di tecnologia 5G”: anche per questo, Commissione e Parlamento europeo hanno intanto sospeso i rapporti con Huawei, vietato il lobbismo cinese nelle sedi di Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo e negli uffici di collegamento. Risultano però ben 17 le nazioni d’Europa che usano tecnologia 5G made in Cina, tra questi spiccano Austria, Bulgaria, Cipro e Ungheria che si rifiutano di bloccare l’avanzata di Pechino nel Vecchio Continente con l’isola cipriota ricoperta al 100% da infrastruttura cinese di quinta generazione.

Ma al di là della partita geopolitica che si riflette anche nel 5G dallo Spazio col disegno di legge italiano che impone satelliti Ue e Nato, il caso e lo scandalo, comunque, non sono certo una novità nel ramo delle telecomunicazioni e per gli organi di vigilanza sugli effetti sanitari del wireless. Proprio dal Parlamento europeo un dossier del 2020 prodotto dagli europarlamentari verdi del gruppo internazionale Greens/EfA si scagliava contro la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti sostenendo che “le nuove linee guida ICNIRP sono state fortemente influenzate dalle grandi società di telecomunicazioni e persino dai militari degli Stati Uniti.” ICNIRP già al centro di numerosi scandali per clamorosi conflitti d’interessi scoperti negli anni in capo ai suoi appartenenti, costretti alle dimissioni da una sigla contestata persino da un verdetto di condanna emesso sempre nel 2020 dalla Corte d’Appello di Torino che, in Italia, ha dato ragione ad un danneggiato da elettrosmog. E torto all’ICNIRP. Risale al 2022 lo scandalo Ericsson List che ha coinvolto il colosso svedese della telefonia, Ericsson, macchiatosi di corruzione, pagato clandestinamente denaro per mantenere le sue attività in territorio arabo.

Un’indagine del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti rivelò che Ericsson commise violazioni: il gruppo da cui si rifornisce anche TIM aveva pagato tangenti ai dipendenti pubblici a Gibuti, il punto strategico di ingresso della Cina in Africa, e le infrazioni sono durate almeno 17 anni in almeno cinque paesi, tra Africa, Asia e Medio Oriente, “uno schema per pagare tangenti, falsificare i libri contabili e chiudere un occhio sulla corruzione, in Paesi come Cina, Vietnam, Indonesia e Kuwait”. Nel 2024 è stata la volta della Repubblica di Costa Rica: il Presidente Rodrigo Chaves Robles ha intrapreso un’azione legale contro Huawei con l’accusa di corruzione e cattiva condotta contro la salute pubblica e la sicurezza nazionale: “Huawei finge di tenere in ostaggio la nuova tecnologia 5G con giudici corrotti e deputati corrotti”.

Infine c’è l’Italia, ma qui è tutto alla luce del sole: come dimostrato in una mia inchiesta su La TecnoGabbia dal titolo Presi per i fondelli, quando nel 2024 per la prima volta negli ultimi 30 anni il Parlamento nazionale legifera innalzando i limiti soglia d’inquinamento elettromagnetico nella pericolosa media dei 15 V/m, la lobby del 5G risparmia ben 4 miliardi di euro in reingegnerizzazione di infrastruttura tecnologica e il Sen. Salvo Pogliese, ex Sindaco di Catania dimessosi per condanna in peculato (c’è ricorso in Cassazione) ma primo firmatario a Palazzo Madama dell’emendamento convertito in legge per volere del ministro Adolfo Urso, esulta per i 200 milioni di euro finiti sul suo collegio elettorale per la costruzione dell’Etna Valley. Soldi girati da Bruxelles e dal ministro delle imprese e del made in Italy, cioé il suo amico Adolfo Urso. Ma noi siamo l’Italia: come evidenzia una recente ricerca di Strand Consult, il 35% dell’infrastruttura 5G italiana proviene dalla Cina.