16 marzo 1978: il nostro 11 settembre

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aldo moro
La strage di Via Fani e il rapimento dell’on. Aldo Moro

(Parte Prima)

di Paolo Palliccia

LItalia che ci ridanno indietro dopo la fine del secondo conflitto mondiale è un Paese a pezzi. Dal  1946 in poi si sono susseguiti tantissimi fatti di sangue che hanno reso la giovane repubblica molto fragile, quasi indifesa, inerme, alla ricerca continua di punti fermi, di certezze politiche che non sempre sono arrivate e che, anche quando la ripartenza sembrava cosa certa (pensiamo al Caso Mattei, ad esempio), sono state annullate bruscamente perché è sempre accaduto qualcosa di tragico che, in qualche modo, ha riportato la nazione indietro nel tempo, costretta a rannicchiarsi in un angolo freddo e buio in attesa di qualche benefattore.

Questi eventi drammatici, denominati spesso “Misteri Italiani” hanno nel 16 marzo 1978 una data tristemente emblematica, paradigma di tutti i misfatti italici, un momento che ricorda uno degli eventi più traumatici della nostra storia, ma anche un vero e proprio spartiacque, che ha segnato e forse continua a farlo ancora oggi, la vita di tutti noi, anche di chi, come voi giovani lettori, quel giorno di tanti anni fa, ancora non c’era e, solo attraverso il racconto degli adulti, ha saputo dell’agguato di via Fani, del rapimento di Aldo Moro e della strage dei 5 uomini della sua scorta.

Quella che proviamo a raccontarvi è una delle pagine più tristi del nostro passato, fatta, purtroppo, di alcuni passi in avanti ma anche di moltissimi momenti di regressione democratica che, in qualche modo, hanno minato in maniera indelebile la nostra democrazia. Ancora oggi, a distanza di molti anni dai fatti che vi stiamo raccontando, sono molte le zone d’ombra e i misteri che continuano a rendere poco chiaro ciò che realmente è accaduto in Via Fani.

L’azione criminale delle BR venne compiuta proprio nel giorno in cui, il Parlamento, doveva dibattere e votare la fiducia a un Governo di solidarietà nazionale che, per la prima volta dal 1947, veniva appoggiato dal Partito comunista italiano.

Aldo Moro, da tempo, si stava spendendo per sostenere il nuovo governo. Un atto giudicato da molti inconcepibile, dentro e fuori dall’Italia. I terroristi delle BR, ad esempio, sottolinearono la loro posizione attraverso il Comunicato n. 2 attraverso il quale le BR dissero che, con il governo che doveva nascere proprio quel 16 marzo 1978, il PCI e i sindacati «collaborazionisti» assumevano «il compito di funzionare da apparato poliziesco antioperaio, da delatori, da spie del regime. La cattura di Aldo Moro, al quale tutto lo schieramento borghese riconosce il maggior merito del raggiungimento di questo obiettivo, non ha fatto altro che mettere in macroscopica evidenza questa realtà».

Il 16 marzo 1978 sembrava un giorno normale a Roma, uno di quelli scanditi dalla solita routine capitolina, dal traffico, dal rumore e dalla moltitudine di persone che, quel giorno, si muovevano da un capo all’altro della città in maniera frenetica. Era una normalità solo apparente, perché, in realtà la follia si stava per abbattere sulle vite degli italiani tracciando un nuovo corso politico che, nell’arco di pochi mesi, avrebbe ridisegnato la struttura delle nostre Istituzioni, cancellando il famoso Compromesso Storico e ogni possibile dialogo fra la Dc e Berlinguer. Però, come spesso accade nel corso degli eventi umani, molti di noi, compresero che anche la pianificazione più spietata può evidenziare qualche falla: Stando ai brigatisti, la loro lucida follia non era poi così lucida, tant’è che uno dei leader delle Br, Valerio Morucci, dinanzi alla Corte d’appello di Roma, disse che: «l’organizzazione era pronta per il 16 mattina, uno dei giorni in cui l’on. Moro sarebbe potuto passare in via Fani. Non c’era certezza, avrebbe anche potuto fare un’altra strada. Era stato verificato che passava lì alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lì sempre. Non c’era stata una verifica da mesi. Quindi il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in via Fani per compiere l’azione, sperando, dal punto di vista operativo, ovviamente, che passasse di lì quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che la presenza di tutte queste persone, su quel luogo per più giorni, avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme».

A distanza di molti anni dai fatti che stiamo narrando non sappiamo se le parole di Morucci corrispondono alla realtà, perché, ancora oggi, molti punti della drammatica vicenda restano poco chiari e molte delle parole profuse dai terroristi delle Br confliggono l’una contro l’altra, contribuendo ad intorbidire il cosiddetto Caso Moro, lasciando emergere, dopo quei lunghi 55 giorni di prigionia del leader Dc, solo una triste realtà: i terroristi sconfitti da un lato e la lunga scia di misteri dall’altro. Però, tornando alle parole del brigatista appena citato, quello che conta è ciò che avvenne in via Fani quel fatidico 16 marzo 1978: i terroristi uccisero barbaramente tutti gli uomini della scorta di Aldo Moro, sequestrando il leader della DC, senza ferirlo nonostante si trovasse nel bel mezzo di una pioggia di fuoco. Moro, proprio quella mattina, si stava recando in Parlamento per votare la fiducia al governo Andreotti ma non giunse mai a destinazione e la storia d’Italia cambiò, radicalmente. Le Br sostennero che si trattò semplicemente di una pura casualità il fatto che Moro venne rapito proprio mentre si recava alla Camera per dare la fiducia al quarto governo Andreotti sostenuto da una maggioranza che, per la prima volta, poteva avvalersi dell’appoggio del Pci. Però, ancora oggi, queste affermazioni lasciano molti dubbi e continuano ad alimentare sospetti sulla reale dinamica della strage di Via Fani.

Inoltre, dopo più di 40 anni dai fatti narrati, risulta poco convincente il contenuto delle parole di Morucci che abbiamo riportato precedentemente, perché sembra inverosimile che l’appostamento in Via Fani si sia ripetuto più di una volta. Infatti, ragionando con calma e lucidità, ci viene spontanea una domanda ancora oggi inevasa: perché soltanto la notte precedente il 16 marzo 1978 le Br squarciarono tutte e quattro le gomme del Ford Transit del fioraio ambulante signor Antonio Spiriticchio? Ci viene da rispondere che solo in questo modo e solo in quel preciso giorno volevano impedirgli di piazzarsi, come faceva tutte le mattine, in via Fani proprio in prossimità dello stop all’incrocio con Via Stresa, ergo, ci sembra veramente strano poter credere che i terroristi avessero programmato più tentativi possibili alla ricerca dell’incastro perfetto che, guarda caso, fu raggiunto proprio quel fatidico 16 marzo 1978, l’11 settembre della nostra democrazia.

Le indagini che seguirono parlarono inizialmente dell’azione militare di dodici killer attivi sulla scena del crimine, ma il numero e l’identità dei partecipanti effettivi, nel corso degli anni, è stato messo più volte in dubbio e gli stessi brigatisti, attraverso le loro confessioni, non hanno certo aiutato la ricerca della verità, anzi, hanno contribuito a rendere i fatti ancora più misteriosi, inserendoli a pieno titolo nella già lunga lista di misteri italiani che, a partire dalla strage di Portella della Ginestra, avevano insanguinato l’Italia repubblicana.

Roma, 16 marzo 1978, intorno alle 8 e 55 Aldo Moro lascia la sua abitazione in compagnia dei suoi uomini, intende recarsi, come sempre, alla parrocchia di S. Chiara in piazza dei Giochi Delfici e di lì tirare dritto verso Montecitorio, perché, proprio quel giorno alle ore 10 Giulio Andreotti avrebbe dovuto illustrare il programma del suo nuovo governo. Moro, però, non immagina minimamente quello che, a breve, nel giro di pochi minuti, sarebbe accaduto, non intuisce che l’inferno sta arrivando e chissà a cosa pensa mentre percorre via Fani nella sua Fiat 130, seguito da un’altra auto della scorta. Non lo sapremo mai. Moro, sicuramente, non si è neppure accorto che un uomo, un brigatista di nome Algranati, è ben posizionato sulla via per segnalare ai suoi compagni il suo arrivo. Sono pochissimi gli istanti che separano il leader Dc e i suoi ragazzi da un tragico destino, sono solo momenti, ma è proprio in questo spazio sospeso che il commando delle Br, composto da dodici brigatisti tra cui una donna,  dà inizio al progetto di morte: poco prima delle 9 del mattino quattro componenti del gruppo, con indosso false uniformi dell’Alitalia, si collocano all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, nascosti dietro le siepi del bar Olivetti, che, in quel particolare momento storico, risultava chiuso per fallimento e situato dal lato opposto rispetto allo stop dell’incrocio stesso. Mario Moretti, uomo di punta delle Brigate Rosse e personaggio ancora oggi misterioso, componente del comitato esecutivo delle Brigate Rosse e dirigente della colonna romana, si mette alla guida di una Fiat 128 con targa falsa del Corpo diplomatico, appostandosi nella parte alta della strada, sul lato destro, all’altezza di via Sangemini con il chiaro intento di bloccare la macchina di Moro e quella della scorta. Altri due componenti del commando brigatista, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, si misero subito davanti a Moretti, a bordo di un’altra Fiat 128. Una terza macchina, sempre una Fiat 128, si era posizionò sempre su via Fani, oltre l’incrocio con via Stresa, guidata dalla brigatista Barbara Balzerani, la quale si era posizionata in senso opposto alle altre, ovvero verso la direzione di provenienza di Moro e della scorta. Una quarta macchina, la Fiat 132 blu con dentro Bruno Seghetti si era posizionata in attesa di far entrare a bordo l’on. Moro e portarlo via, nella famigerata “prigione del popolo”.

Quando Aldo Moro, per un attimo, alza lo sguardo dai suoi giornali, il mondo sta già cambiando, la sua vita sta cambiando assieme alla Storia d’Italia. Per sempre. Le Br decisero di attuare il sequestro in via Fani rischiando tantissimo, mettendo in scena un’autentica carneficina. Questa fase della tragedia presenta delle analogie evidenti con la strage di Capaci, anche qui, Falcone poteva essere colpito facilmente a Roma, dove in quel periodo stava lavorando, ma Cosa Nostra, improvvisamente, decise di agire come sappiamo tutti, attuando la strage in condizioni organizzative molto più complicate. Così, in qualche modo, è accaduto anche nella strage di via Fani: le abitudini di Moro erano piuttosto risapute e, da questo punto di vista, forse, l’azione brigatista si sarebbe potuta attuare diversamente, con meno complicazioni logistiche, ma tutto ciò non avvenne. Le Br agirono come sappiamo scegliendo Moro fra altri capi Dc perché, forse, il più adatto per un sequestro, sicuramente, a sentire i brigatisti stessi, più adatto di Andreotti che, almeno così si diceva, era “tutelato” da una scorta più ampia di quella riservata a Moro, anche se, più tardi, lo stesso “Divo” Giulio smentirà tutto ciò, ricordando come, in realtà, lui non fosse poi così protetto. Torniamo alla narrazione, a Moro che, per pochi secondi, distoglie la sua attenzione dalla lettura dei quotidiani e, subito dopo, si rende conto che la sua macchina si è fermata bruscamente, tamponando un altro veicolo presente sulla strada. Però, purtroppo per Moro e i suoi ragazzi non si trattava di un “semplice” incidente, era un agguato, erano le Brigate Rosse. Nessuno di loro poteva immaginare ciò che, a breve, sarebbe accaduto, una pagina drammatica per la nostra storia repubblicana, una strage che avrebbe condizionato gli anni a venire perché, purtroppo, come già accaduto nella storia della Repubblica quella di Via Fani sarebbe diventata una delle tante pagine buie del nostro Paese nella quale perdersi alla ricerca della verità nascosta che troppe persone non volevano e non vogliono far emergere.

Nelle ore successive alla strage di Via Fani, insieme alle reazioni scioccate provenienti dall’Europa e dal resto del mondo, arrivarono anche sei telefonate delle Brigate Rosse che, almeno per un po’, sostituirono il classico volantino ciclostilato tanto caro ai terroristi delle Br. Le telefonate rivendicarono ufficialmente l’operazione terroristica e avanzarono delle richieste di riscatto direttamente rivolte allo Stato Italiano. Una di queste telefonate, forse la più interessante per certi aspetti, giunse all’Ansa di Torino poco prima delle 11 della mattina con la richiesta di liberazione dei 15 brigatisti sotto processo a Torino e di altri “compagni” cari alle Br. Il messaggio brigatista diceva: “Qui Brigate Rosse. Abbiamo rapito noi il servo dello Stato Aldo Moro. Abbiamo ucciso Leonardi e tutti gli altri della scorta. Le nostre richieste sono due: la liberazione di tutti i compagni detenuti a Torino, la liberazione dei compagni di Azione rivoluzionaria Angelo Monaco, Salvatore Cigneri, Vito Messana, Sandro Meloni e il compagno Valitutti: i compagni nappisti, tutti quanti. Entro 48 ore questo comunicato dovrà essere letto su tutte le reti nazionali, e a un certo punto attendiamo la risposta. Se la risposta non sarà valida faremo fuori anche Aldo Moro”.

(fine prima parte)