Il tatuaggio

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Tradizione e modernità


a cura della Dottoressa 
Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapeuta

Dott.ssa
Anna Maria Rita Masin
Psicologa – Psicoterapauta

Il tatuaggio è un segno artificiale ed indelebile impresso nella pelle di una persona. Ci sono ritrovamenti di persone tatuate che risalgono a 5.300 anni fa. Il tatuaggio è sempre stato un segno di appartenenza (ad una famiglia, ad un ceto sociale), ha sempre rappresentato un modo di comunicare e di raccontare di sé, ha segnato anche un rito di passaggio, un momento di crescita, un modo per affrontare le paure.

Il tatuaggio, in questi ultimi anni, è diventato un fenomeno di massa, tanto che le persone tatuate non sono più solo gli adolescenti o chi ha avuto un passato difficile (tossicomani o ex detenuti), ma anche donne e uomini di qualsiasi classe sociale ed età.

Ora il tatuaggio non è più un segno anticonformista. In una società che si esprime per immagini, che va veloce, in cui è facile il cambiamento (di partner, di lavoro, di casa) il tatuaggio è un modo che la persona ha di raccontarsi velocemente e senza parole. Il tatuaggio rimane.

Ogni tatuaggio racchiude dentro di sé una storia, una motivazione incancellabili. Se chiediamo ai tatuati cosa li ha spinti a tatuarsi, le risposte sono “l’essere unici”, “avere una nuova identità”, “fare una nuova esperienza”, “ricordare un evento o una persona”, oltre che appartenenza ad un gruppo, ribellione, ecc.; le motivazioni, quindi, con i millenni sono rimaste le stesse.

La Psicologia del tatuaggio, nuova branca che studia questo fenomeno, evidenzia che ci sono delle differenze, però, tra chi si tatua a destra (persone rivolte verso il futuro e ottimiste) o a sinistra (più nostalgici), tra i tatuaggi maschili e femminili (più piccoli e nascosti), nella scelta di immagini. Per esempio, lo stesso tatuaggio scelto da un adolescente e da una over 40 ha significati diversi: il primo porta con sé il significato di ribellione, di affermare una personalità ancora in formazione, di anticonformismo oppure di esorcizzare la paura, la solitudine; per l’adulto vuol dire fermare il tempo in un ricordo.

Si è evidenziato, inoltre, che le donne abusate hanno una maggior tendenza a tatuarsi e che la loro autostima così è pari ad una donna non abusata. In questo caso il tatuaggio ha un valore terapeutico. Una considerazione merita il significato psicologico della pelle, sede del tatuaggio. La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo. È un organo di confine perché è direttamente a contatto con l’esterno e collegato con l’interno.

La pelle ha funzione di filtro e di protezione. Pelle e sistema nervoso si formano dallo stesso foglietto embrionale, l’ectoderma, tanto che nella pelle emergono le emozioni (la rabbia, la timidezza, l’imbarazzo) non solo con semplici rossori temporanei ma anche con delle lacerazioni evidenti e/o permanenti (psoriasi, dermatiti topiche, ecc.). La pelle, con il tatuaggio, può essere considerata un “mezzo di comunicazione” metaforico tra sé e gli altri. La pelle, così, diventa un libro da sfogliare e da leggere.

La persona tatuata racconta di sé senza parlare. Oppure mostra di sé un’immagine che rende gli altri curiosi di saperne di più. Il tatuaggio, quindi, non è patologia. Lo diventa quando emergono l’ansia e la percezione dell’assoluta necessità di fare il tatuaggio o quando il tatuaggio copre la convinzione di “considerarsi particolarmente brutti, impresentabili, ripugnanti e deformi”, una vera e propria patologia, la dismorfofobia.
Qui è necessario l’intervento terapeutico.

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