Il benefattore dell’archeologia dimenticato

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Dipinto Etrusco
Necropoli Banditaccia-Cerveteri

 

di Giovanni Zucconi

Oggi continueremo a raccontare la storia delle aree archeologiche di Cerveteri, attraverso le vicende del Ing. Raniero Mengarelli che, come sapete, ha guidato, nei primi decenni del ‘900, tutti i più importanti scavi archeologici a Cerveteri. Anche stavolta attingeremo a piene mani da uno straordinario articolo scritto dalla dott.ssa Rita Cosentino, l’attuale responsabile dell’area archeologica di Cerveteri, per “Mediterranea – Quaderni annuali dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo antico”. Il titolo di questo articolo è: “Raniero Mengarelli a Cerveteri. Appunti dal carteggio inedito”.

Stavolta parleremo di valorizzazione dell’immenso patrimonio archeologico che il Mengarelli, in circa 24 anni di scavi, regalò a Cerveteri. Città che non gli fu per nulla riconoscente, se osserviamo che la prima dedica pubblica che gli concesse, solo agli inizi degli anni ’90, fu il nome di una piccolissima e periferica strada adibita a parcheggio di una lottizzazione. Cominciamo con il farci un idea di quanti monumenti etruschi l’ingegnere riportò alla luce. In una sua relazione del 1938, nella sola zona della Banditaccia, afferma di avere fatto emergere ben 248 tumuli, per un totale di 1.470 camere sepolcrali. Un numero immenso. E stiamo parlando solo della zona della Necropoli della Banditaccia, non contando quindi le altre 808 tombe riportate alla luce nelle Necropoli della Cava della Pozzolana e del Sorbo. Talmente tante che qualcuno pensò che queste ultime potevano essere benissimo ricoperte da una bella colata di cemento, e di costruirci sopra l’omonimo quartiere del Sorbo. Quindi, complessivamente, il Mengarelli regalò a Cerveteri, e al mondo intero, ben 2.278 camere sepolcrali (ogni tomba può avere più camere sepolcrali). Per avere un’idea del grandissimo lavoro che portò avanti negli anni, facciamo due conti. Stiamo parlando di quasi 95 camere sepolcrali scavate ogni anno, pari a quasi 8 al mese. Cioè praticamente quasi due ogni settimana. Un lavoro sistematico gigantesco, che purtroppo non arricchì nessun museo etrusco di Cerveteri. Questo vide la luce solo nel 1967, ben 34 anni dopo la messa a riposo del Mengarelli. Questa, insieme a tante altre, è una delle vergogne che ha impedito la crescita economica e culturale, ma soprattutto economica, di Cerveteri.

Mengarelli capì subito che le centinaia di tombe che aveva scavato erano inutili se non si potevano visitare. E per visitarle, bisognava renderle agibili con opere di manutenzione e di valorizzazione. E di restauro, quando ce ne era bisogno.

Cominciò a chiedere finanziamenti per illuminare le tombe più importanti: la tomba dell’Alcova, della Nave, dei Capitelli, di Marce Ursus, della Cornice, dei Rilievi e dei Tarquini, tanto per iniziare. I primi finanziamenti arrivarono solo nel 1926, per un totale di 17.300 lire. Per quanto riguarda l’energia elettrica necessaria, siamo in un periodo di ristrettezze economiche, e quindi il Mengarelli presenta un piano per razionalizzare i consumi e per ridurre i costi. Alla società elettrica, Mengarelli chiede una fatturazione che tenga conto che le Tombe verranno illuminate solo di giorno, e che lo saranno in sequenza e mai contemporaneamente. L’ingegnere, nel suo progetto presentato al Ministero, calcola che non dovranno essere erogati più di 300 watt per volta.

Ma prima di permettere la visita delle tombe, queste andavano restaurate e rese agibili. Non abbiamo una documentazione esaustiva sulla sua opera di manutenzione ordinaria e straordinaria delle centinaia di tombe che Mengarelli ha scavato. Ma sappiamo che, nei primi trenta anni del ‘900, il suo impegno, anche in questo campo, fu grande e pervasivo in tutte le zone in cui ha scavato. Nelle sue lettere o relazioni, troviamo traccia di richieste di numerosi finanziamenti finalizzati al restauro e al consolidamento delle tombe riportate alla luce. Un problema particolarmente pressante che lui dovette affrontare fu quello delle fognature per eliminare l’acqua che regolarmente, durante i mesi invernali, riempiva le tombe appena scavate. In una nota alla sua Direzione Generale, il Mengarelli ricorda che la tecnica di prosciugare le tombe allagate con delle pompe idrauliche, sia fastidioso per il visitatore oltre che notevolmente costoso. Un esempio mirabile di questa opera di realizzazione di opere idrauliche per il prosciugamento delle tombe, lo ritroviamo nella Tomba delle Cinque Sedie, attualmente concessa in convenzione alla Sezione di Cerveteri del GAR. Chi ha visitato il complesso archeologico ha potuto ammirare un lungo cunicolo, completamente accessibile, che corre immediatamente sotto la tomba, e ad essa collegata con dei piccoli cunicoli di raccordo che drenano l’acqua piovana dalla camera centrale e dal dromos. Questa tomba, a parte casi eccezionali, è sempre completamente asciutta.

Ma non tutte le tombe scavate erano sempre pronte per essere visitate. Quando una tomba presentava uno stato di conservazione che non permetteva la fruizione, il Mengarelli, quando possibile, provvedeva al suo restauro. Un restauro chiaramente che doveva tenere conto di criteri e regole rispettose della natura storico-architettonica del monumento etrusco. Per illustrare meglio questi criteri, crediamo che si utile riportare, per intero, un passo ritrovato nei vari carteggi dalla dottoressa Cosentino, nel quale il Mengarelli illustra come bisogna procedere nel restauro di una Tomba.

“…di ogni momento io ho eseguito alcune norme molto rigorose che riassumo… Di ogni monumento da restaurare si deve fare uno studio e un rilevamento scrupoloso di quel che rimane. Quindi si deve compilare un progetto particolareggiato dal quale ben risulti che l’esattezza del restauro e documentata pienamente dalle parti che rimangono della costruzione antica. Il restauro, la cui sicura rispondenza all’antico non risulti evidente, non si deve fare. Aggiungo che per me quando il progetto di restauro di un monumento sia sicuro, ma dei materiali antichi rimanga una quantità troppo esigua, non si deve effettuare il restauro stesso, il quale ci darebbe un monumento quasi nuovo. Le parti restaurate, pur essendo fatte in modo che si accordino con quelle conservate, devono essere sempre riconoscibili”